«La nostra complessa e disordinata civilizzazione non può più funzionare senza incorporare il metodo scientifico nel cuore della politica e coltivare la conoscenza organizzata per i più alti fini sociali. La scienza deve diventare il braccio destro dello Stato» – così scriveva Ward Shepard, ambientalista in forza al Dipartimento dell’Interno degli USA (Ministero di tutela del territorio federale) il 18 gennaio del 1946. La scienza era stata centrale per sconfiggere il nazismo, la scienza doveva contribuire al progresso dell’umanità. Eppure, da quell’accorato appello di oltre 70 anni fa, la scienza è stata messa più al servizio del Complesso Militare Industriale di eisenaueriana memoria che della politica con la P maiuscola. In un momento in cui la scienza viaggia a velocità impensabili per la politica, e forse anche per se stessa, portando avanti ricerche sempre più diffuse e precise in ambiti che fino a qualche anno fa erano appannaggio di nicchie di iper-specialisti, occorre recuperare lo spirito di Shepard e coinvolgere la scienza per un’alleanza strategica con la politica e garantire il funzionamento di una democrazia basata sullo Stato di Diritto.

Dopo aver intitolato Science for Democracy (la scienza per la democrazia) la quinta sessione del Congresso Mondiale per la Libertà di Ricerca Scientifica, organizzato dall’Associazione Luca Coscioni al Parlamento europeo ad aprile del 2018, un anno fa abbiamo lanciato una piattaforma internazionale con lo stesso nome. Un nome/slogan – “Science for Democracy” – che è un programma e che intende promuovere un dibattito pubblico basato su evidenze scientifiche col fine di consolidare un’alleanza tra scienza e democrazia per il bene dell’umanità. Niente di nuovo ma, allo stesso tempo, niente di più negletto. Fin dalla Dichiarazione Universale del 1948 la scienza è parte integrante dei diritti umani: la si incontra all’articolo 27 là dove si parla del diritto di «partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici»; la si ritrova, e questa volta in modo più articolato, all’art. 15 del Patto internazionale sui diritti economici sociali e culturali del 1966 che evidenzia la necessità che la ricerca sia libera, che gli scambi di conoscenze possano esser a portata di tutti e che, soprattutto, le persone possano beneficiare delle più recenti scoperte scientifiche dovunque vivano. Il “diritto umano alla scienza” non è un’affermazione apodittica, è parte integrante del diritto internazionale. Ogni qual volta si vieta o ostacola la ricerca, si zittiscono, bloccano o arrestano ricercatori stessi, arrivando a negare potenziali cure o possibilità di miglioramenti genetici, energetici, tutele ambientali etc., siamo di fronte a una violazione di un diritto umano e come tale occorre trattarla.

Due in particolare sono gli ambiti cruciali per la qualità e la sostenibilità del mondo in cui viviamo e in cui la ricerca e lo sviluppo stanno avanzando velocemente: il digitale, coi big data, l’intelligenza artificiale con i suoi algoritmi predittivi e qualificativi, le nano e le bio-tecnologie vegetali, animali e umane. Non tutto il mondo “ricco” reagisce allo stesso modo di fronte a questo avanzamento tecno-scientifico. Negli USA, dove da sempre una potente struttura universitaria (privata) riesce a bilanciare ricerca pura e interessi commerciali, un numero ristretto di multinazionali digitali dai bilanci fantasmagorici sta dettando l’agenda politica nazionale e globale condizionando potentemente le norme anti-trust e quelle fiscali con esenzioni che diventano modelli a livello planetario – stesso dicasi per tutto quello che attiene al bio-medicale di precisione e la cybersecurity. In Cina, dove non si muove microscopio o telescopio che il Partito Comunista non voglia, le priorità sono dettate da un regime autoritario che ha bisogno di controllare chiunque, dovunque e comunque, a partire dalle minoranze, per imporre un modello socio-economico che nega le libertà e che prospera grazie a un apparato securitario imposto, attraverso le più sofisticate applicazioni dell’intelligenza artificiale, e reso pervasivo dalla corsa al profitto senza regole. In Europa, invece, con forse l’eccezione su alcuni temi nel Regno Unito e qualche paese nordico, la scienza sottostà a un necessario principio di precauzione che non viene bilanciato dalle innovazioni conquistate dal progresso scientifico. Stiamo correndo il rischio di rimanere indietro nell’editing del genoma umano, animale e vegetale perché decisioni politiche e sentenze di corti europee hanno tenuto maggiormente conto delle richieste di gruppi di pressione piuttosto che delle evidenze prodotte dalla ricerca. In ossequio a interpretazioni etiche non necessariamente laiche si ritardano o bloccano decisioni pubbliche in modo arbitrario e, quindi “a-”, se non “anti-”, scientifico.

Non si tratta di elevare la scienza ad alfa e omega della legislazione, si tratta piuttosto di creare le condizioni generali per cui le decisioni vengano prese in consultazione con la scienza, in un confronto tra produttori di saperi e portatori di interessi, che mutui dal metodo scientifico la condivisione dei risultati della ricerca e la loro falsificazione coll’obiettivo di arricchire la conoscenza, ingrediente necessario alla presa di decisioni politiche. Un arricchimento del “conoscere per deliberare” per affrontare temi di portata planetaria. In primis la salute del pianeta. Far sì che la scienza giochi un ruolo strutturale nella democrazia liberale è rispettare un obbligo internazionale nei confronti dell’umanità. Science for Democracy ha deciso di tenere il prossimo congresso mondiale per la libertà di ricerca in Etiopia, in collaborazione con la Commissione africana. I temi che verranno affrontati nel quadro del diritto alla scienza andranno dall’accesso aperto alla letteratura scientifica, alla salute riproduttiva, passando per le biotecnologie vegetali e l’aerospazio. Sarà un’occasione per parlare di scienza in e per l’Africa, un continente dove maggiormente occorre investire per il pieno rispetto dei diritti umani.

Co-Fondatori
Science for Democracy –
ScienceForDemocracy.org

 

Marco Cappato, Marco Perduca

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