Esteri
L’anniversario nella Ue della non-pace Costa: “Senza difesa è solo un’illusione”
Il messaggio del Presidente del Consiglio Europeo in visita all’Istituto Universitario Europeo a Firenze per commemorare l’ottantesimo dalla resa incondizionata della Germania nazista

Il libretto dei voli di guerra di mio nonno, pilota nella Règia aeronautica militare, si interrompeva esattamente 80 anni fa con le parole “Cessato lo stato di Guerra 8.5.1945.” È una doccia fredda rendersi conto quanto questa frase in Europa oggi sia diventata un miraggio. Viviamo in un mondo di mezzo in cui la pace sembra essere sempre più lontana ma qualsiasi velleità di prepararsi al peggio venga accolta con lo scetticismo e la sfiducia del pacifismo più miope e populista. È stato questo il messaggio di Antonio Costa, Presidente del Consiglio Europeo in visita all’Istituto Universitario Europeo a Firenze per commemorare l’80esimo dalla resa incondizionata della Germania nazista. La pace, ha detto Costa, non è un progetto passivo ma attivo; e senza la difesa, è solo un’illusione. Le cose che in passato ci univano, come il commercio, oggi ci dividono.
È la stessa tesi di un bel libro pubblicato dal politologo inglese Mark Leonard un paio di anni fa dal titolo “L’era della non-pace. Perché la connettività porta al conflitto.” La “non-pace” è una contraddizione in termini diventata profezia della realtà in cui viviamo. In questo contesto, va benissimo commemorare che il giorno dopo la fine della guerra, il 9 maggio, si celebri anche il 75esimo anniversario della Dichiarazione Schuman che mise insieme la produzione di acciaio e carbone di Francia e Germania con l’obiettivo di rendere impossibile una nuova guerra.
Ma dobbiamo renderci conto di quanto questa narrazione dell’Europa come progetto di pace suoni stantia e lontana dalle nuove generazioni, mentre cozza con una realtà geopolitica sul Continente degenerata in guerra aperta da ormai oltre tre anni. E qui si inserisce il terzo anniversario, quello che meno ti aspetti. Il 6 maggio, ha notato Costa, si sono celebrati anche i cinquant’anni delle relazioni diplomatiche fra Unione Europea e Cina. Il Presidente Xi Jinping ha colto la palla al balzo per rimarcare la necessità di appianare dissidi e frizioni ed espandere la cooperazione in una fase in cui entrambe i colossi si trovano a fare i conti con i dazi imposti da Trump.
La scorsa settimana, quindi, Pechino ha annunciato di voler revocare le sanzioni ai parlamentari europei che erano state imposte in risposta a quelle occidentali mirate a punire le detenzioni di massa della minoranza Uyghur. In altre parole, prove generali di una distensione sul fronte dei diritti umani, che suonano però come una beffa. Per anni infatti, l’Europa si è arrovellata su come mettere in atto un efficace derisking dalla Cina. Ovvero come proteggere settori per noi strategici, diversificare approvvigionamento e limitare le esposizioni a rischio in caso di eventuali tensioni geopolitiche, senza però interrompere i rapporti commerciali. È una beffa che se oggi dobbiamo pensare e programmare il “derisking”, non è verso Pechino quanto verso gli Stati Uniti, ormai sempre più imprevedibili. È una beffa è che l’esca lanciata da Pechino all’Europa per sancire il disgelo riguardi proprio i diritti umani, le fondamenta valoriali su cui si posa la costruzione europea e che non dovremmo mai sacrificare. Ed è una beffa che uno degli effetti collaterali di questi tre anniversari sia forse che l’Europa debba scendere a compromessi e, alla fine, diventare essa stessa più trumpiana.
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