«Guerra? di quale guerra parli figlio mio? In Ucraina è in corso una operazione antinazista, sappiamo tutto, e non accade nulla di quel che dici. Sei impazzito?». Questo è il tenore delle conversazioni di molti ucraini che hanno parenti che vivono in Russia, che telefonano stupiti per non aver ricevuto alcun messaggio, alcun segno di preoccupazione. I casi si moltiplicano: in Russia la stragrande maggioranza dei cittadini crede alla versione governativa secondo cui si sta svolgendo in Ucraina una fraterna operazione di pulizia di elementi nazisti rifiutati dallo stesso popolo ucraino che accoglie con feste e canti i soldati russi corsi in soccorso del paese fratello.

Si tratta di un classico “pattern” russo: Stalin che non invade la Polonia con Hitler, ma corre al soccorso delle sue minoranze etniche dopo il dissolvimento del governo di Varsavia nel settembre 1939. E poi corre al fraterno soccorso dei finlandesi nei mesi successivi per ricondurli alla ragione e quindi dei Paesi Baltici che avevano bisogno di una raddrizzata, e poi della Bessarabia che richiedeva aiuto. Poi, dopo la Grande Guerra Patriottica (nome diverso dalla nostra Seconda Guerra mondiale e che inizia soltanto con l’aggressione hitleriana all’Unione Sovietica) abbiamo tutta la sfilza degli aiuti fraterni agli operai tedeschi in sciopero nel 1953, al socialismo ungherese assaltato da una rivoluzione operaia e studentesca nel 1956, al socialismo dal volto umano a Praga nel 1968, alla traballante Polonia nel 1980 costretta a farsi un colpo di Stato da sola per evitare il peggio, all’Afghanistan dal Natale 1979 e poi le festose guerre cecene in atroci bagni di sangue anche per l’abitudine inveterata – e siamo già in epoca post-sovietica – di compiere stragi e massacri, sostenuti sul fronte interno da un apparato di menzogne di Stato.

Ieri il New York Times riraccontava il caso del signor Misha Katsurin e di suo padre Andrei. Misha viveva fino a ieri in Ucraina a Kiev e suo padre in Russia a Nizhny Novgorod. Dopo i primi giorni di guerra, Misha ha cominciato a chiedersi come mai suo padre non lo chiamasse per avere sue notizie e quando finalmente lo chiamò per dirgli in che condizioni erano sotto le bombe russe, suo padre lo interruppe irato gridando che gli che stava raccontando balle e che non c’era alcuna guerra in Ucraina, e che la rapida azione di polizia per colpire centri neonazisti non era una guerra ed era molto irritato. I russi sanno pochissimo della guerra e meno ancora le madri dei giovani soldati che muoiono e che sono stati arruolati prevalentemente nella Russia asiatica e non in quella europea. Ma che da qualche giorno vengono anche dalla Russia europea dove il governo ha fatto chiudere tutti i social usati nel resto del mondo e ha costretto i giornalisti stranieri alla fuga minacciandoli con una nuova legge approvata a spron battente dalla Duma, con cui si punisce con multe, arresti e galera fino a 15 anni, chiunque divulghi anche fuori dalla Russia notizie che le autorità russe decidono a loro discrezione essere false. Il che significa che la propaganda sostituisce la verità secondo le leggi di una antica scuola nell’arte della manipolazione. Più esattamente si tratta di quel prodotto che in inglese si chiama “fabrication” che non ha in italiano l’equivalente “fabbricazione”.

I dizionari avvertono che una fabbricazione non consiste in una banale menzogna, ma in un’opera di sapiente sostituzione di una realtà fabbricata da specialisti come un complicato presepe, che può sostituire come un fondale di teatro, a misura e perfettamente, la realtà vera, sicché nessuno sia più nelle condizioni di distinguere tra una “fabrication” e ciò che è realmente accaduto. È questo genere di abilità che onora più di un secolo di esperienza. La realtà che sostituisce a misura l’altra realtà – quella che banalmente possiamo considerare “vera” – ha la qualità della credibilità e della cura del dettaglio a livelli manicali. Ciò che accade oggi nella Russia di Putin durante questa invasione di uno Stato contiguo e formalmente libero e indipendente, non era stato dispiegato con tanta accuratezza dai tempi di Youri Andropov, il geniale capo del Kgb che fu eletto segretario generale del Pcus e che aveva una visione modernissima non soltanto dello spionaggio ma della sostituzione di realtà reali con altre immaginarie.

Andropov aveva una strategia dichiarata: sedurre l’Occidente con pronunciate dimostrazioni di quel genere dii modernità – inclusa la sua stessa immagine di sofisticato intenditore di whisky e cultore di musica jazz americana – che commuovono gli occidentali sensibili ai più semplici messaggi culturali – per poi scaricare sullo stesso Occidente il peso e il costo del fallimento economico sovietico, cominciando a sganciare i “buffer States” che si chiamavano ”satelliti” (quasi tutti oggi membri della Nato) come poi accadde con la caduta ampiamente programmata del Muro di Berlino:_ fu Andropov a scegliere come regista della futura operazione di svendita del debito sovietico il giovane (allora) Michail Gorbaciov, per la sua aria occidentale e persino per il fatto di avere una moglie non priva di fascino come Raisa Maksimovna Gorbaceva.

Fra la teoria di Andropov (che morì precocemente per un fulminante tumore) e la svendita e decomposizione dell’Urss passarono parecchi anni, ma il disegno sia pure in modo caotico andò in porto ed è a quel disegno che oggi Putin si oppone pensando di poter riavvolgere il passato su un nastro magnetico e riportare le cose ai tempi in cui l’Ucraina era soltanto una delle tante regioni sovietiche “carne della nostra carne, sangue del nostro sangue”. La sua teoria del tutto sciagurata del recupero del tempo e del territorio ha richiesto un ammodernamento della tecnica della “fabbrication” e del controllo e sostituzione dei media, oggi rappresentati prima di tutto dal mondo on line, anch’esso sostituito con un fondale, lo stesso fondale che ha indotto il vecchio Andrei Katsurin a rispondere al figlio: “Ma sei, impazzito? Di quale guerra parli? Non c’è alcuna guerra”.

Ciononostante, ogni giorno ci sono in Russia decisione di manifestazioni contro la guerra, promosse da Alexey Navalny, l’oppositore di Putin arrestato dopo un dirottamento e sbattuto in galera, da dove gli è stata tuttavia concessa la possibilità di comunicare con la sua rete. Putin considera Navalny più utile da vivo, in prigione e in grado di organizzare qualche manifestazione, che non farlo sparire dalla faccia della Terra, privandolo di uno strumento di controllo propagandistico che permette di individuare e neutralizzare i gruppi di opposizione più radicali.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.