Il prof Gianfranco Pasquino, emerito all’Università di Bologna e socio dell’Accademia dei Lincei, esplora con aggiornata considerazione il lessico e il frasario della politica di oggi, nel testo edito da Il Mulino e rivisitato rispetto alla precedente edizione del 2000 (Parole della politica). Gli stilemi linguistici del politicamente corretto non sfuggono allo studioso e al politologo, da quelli ricorrenti e più in uso a quelli riciclati, dalle giaculatorie dei TG serali alle più auliche e impegnative esternazioni elaborate nelle sedi dei partiti o nelle più nobili istituzioni della democrazia della parola, che diventa protagonista della banalità riciclata o dell’impegnativo desiderio di consegnare ai posteri qualcosa che tracci il solco indelebile per la retorica del dire. In ciò inconsapevolmente rafforzando il convincimento che il vero problema della politica e delle sue declinazioni interpretative è il gap che separa la teoria dalla pratica e – specularmente – il paese legale dal paese reale.

All’attento lettore non sfugge un’interpretazione diacronica del frasario politico: ai tempi dell’arcinota Prima Repubblica, quando le alleanze non reggevano più, si faceva ricorso ai “governi ponte”, ai “governi balneari”, “di transizione” e a quelli per “il disbrigo degli affari correnti”. Oggi lo scenario politico rende desueti – al pari di “compromesso storico”, “convergenze parallele”, “manuale Cencelli”, “equilibri più avanzati”, “politica dei due forni”, “strategia dell’attenzione” – questi scenari di fatto spariti dalle esternazioni ricorrenti, sostituiti da mappe concettuali adatte ai tempi.

Ma il vero rinnovamento da tutti auspicato finisce in un mero gioco di parole nuove. Il Beruf di cui scriveva e insegnava Max Weber è finito in cantina, dimenticato e sostituito da un’omologazione culturale che rende somiglianti e persino intercambiabili i temi della contesa, semplicemente perché la competenza è un requisito millantato ma assai poco praticato, un residuale e fastidioso armamentario sostituito da frasi fatte e da effetti speciali. Più che convincere, oggi bisogna stupire, anche se mancano le argomentazioni a sostegno di teorie, idee o pensieri.

Quando il sistema elettorale era rigorosamente proporzionale, la parcellizzazione ideologica imponeva ragionevoli compromessi: pare che oggi – mutatis mutandis – la discontinuità sia un vanto, un privilegio per distinguersi, anche a motivo di una rafforzata deriva di personalizzazione della politica, scarsamente supportata da carisma o talento, ma da un consolidato sistema verticistico di gestione degli organigrammi e degli indirizzi elettivamente assunti all’interno dei partiti.

Circola con insistenza una consuetudine prevalente: quella dei diritti da conquistare piuttosto che quella dei doveri da imparare. In epoca di libertà conclamate, sembra che l’ubbidienza a capi e capetti sia la virtù premiante. Persuasione e imbonimento si spostano dal terreno strettamente politico e diventano la premessa di una ricorrente manipolazione sociale. Leggendo questo libro, che mette a nudo i molti difetti e le poche virtù di una politica definita “pasticciata e pasticciona” e di una “democrazia di qualità molto bassa e sicuramente insoddisfacente”, nessuno si aspetta di trovare parole che non si ascoltano mai: umiltà, dedizione, etica, coraggio, considerazione, umanità, responsabilità, competenza. Non sono solo termini abbandonati e inusuali, ma esprimono l’assenza di corrispettivi sentimenti di interpretazione dei bisogni individuali e collettivi.

Il prof Pasquino non indulge a retorica e non si dichiara neutrale: desidera una democrazia maggioritaria e bipolare; ribadisce il dovere di votare; non giustifica l’astensione elettorale, il disimpegno e l’indifferenza perché politica vuol dire partecipazione, passione ed emozioni; non si rassegna a una classe politica composta da burocrati e carrieristi. Tutto questo è suffragato da un’analisi erudita e scientifica, perché bisogna sottrarsi alla tirannia delle parole: la vera cultura si nutre di riflessione, pacatezza, temperanza.