Il ribaltone
Francia, Macron in bilico. Europa e NATO temono l’effetto domino
Le cronache parigine portano a dire che la Francia è la malata politica d’Europa. Tanto quanto la Germania è la malata economica. È uno stato di malessere di cui deve prendere atto tutta Bruxelles, visto che le conseguenze sono proiettabili sia sull’Unione europea sia sulla Nato. E quindi sulla guerra in Ucraina. La diagnosi porta a dire che si tratta di una crisi improvvisa, ma i cui sintomi – per quanto lievi – erano tutti evidenti da lungo tempo. Da ormai un quarto di secolo, il progressivo avanzare dell’estrema destra fa tremare i polsi alla più progressista, laica e rivoluzionaria delle società europee. Per tre ballottaggi presidenziali, infatti, i Le Pen – prima il padre Jean-Marie nel 2002, poi la figlia Marine nel 2017 e nel 2022 – hanno costretto gollisti, liberali, socialisti e verdi a turarsi tutti il naso e a far fronte comune per evitare che i nostalgici di Vichy entrassero all’Eliseo. Lo stesso è successo tra giugno e luglio scorso, con quelle elezioni politiche indette da Macron subito dopo le europee. Un colpo di genio, si diceva in quei giorni. Forse oggi il giudizio è da ricalibrare.
La teoria smentita
Viene da domandarsi quante altre volte il centro e la sinistra dovranno allearsi per evitare una sconfitta last minute da parte del Rassemblement National. Si è soliti dire che la debolezza sta nel semipresidenzialismo, in quanto non garantirebbe un’adeguata coesione tra governo e presidente della Repubblica. La durata degli esecutivi smentisce questa teoria. Esclusi Barnier e il suo predecessore Attal – anche lui premier per pochi mesi – fin dalla sua nascita, nel 1958, la Quinta Repubblica ha vantato una durata media dei suoi esecutivi di circa 2,4 mesi. Oltre il doppio rispetto allo scarso anno medio di quelli italiani. Altra ipotesi è invece che il problema stia nel dialogo establishment-elettorato. RN è in tutto e per tutto una forza populista, capace di assorbire i rancori del ceto medio-basso, meglio se non metropolitano, e spararli ad alzo zero contro il palazzo. Si lasci perdere che poi in quel palazzo ci voglia entrare. Né Ensemble né il Front Populaire oggi, e tantomeno i loro rispettivi predecessori, sembra che siano riusciti ad affrontare questo problema. Che non è di sistema politico, bensì di acquisizione delle esigenze dell’elettore, tradurle in un’agenda politica e poi, eventualmente, metterle in atto.
Un Macron debole
Il tutto per dire che quello francese è un male italiano. Solo che mentre noi siamo abituati ai governi balneari, ai ribaltoni, agli sgarbi di facciata e alle alleanze impossibili, Parigi no. Mitterand era noto come “le florentin” perché gli piaceva giocare alla politica. Ma era Mitterand. Oggi le cose stanno diversamente. Ecco perché la prima a doversi preoccupare è tutta l’Europa. Un Macron debole – che può anche non andare a casa, come lui stesso insiste a dire – è un pilastro in meno per la Ue di fronte a Trump. Il fianco moderato di von der Leyen si trasforma nel suo ventre molle. La presidente della Commissione Ue – che è lì fin dal 2019 grazie proprio al leader francese – avrebbe tutta la necessità di contenere il progressismo-ecologista “alla Ribera maniera”, tanto quanto le spregiudicate manovre di Manfred Weber e del Ppe, che trattano sempre più alla luce del sole con i conservatori dell’Ecr e i Patriots. Dunque i lepenisti. Peraltro, se sono vere le indiscrezioni per cui a Mario Draghi sia riservato un ruolo di “commissario ombra” – proprio come appoggio esterno a Ursula – un Eliseo debole, da sempre sponsor di Supermario, rende difficile il progetto.
Questione NATO
Veniamo ora alla Nato. Potenza nucleare, con un seggio permanente al Consiglio di sicurezza all’Onu, una presenza permanente in Africa. Della grandeur francese non è il caso di fare l’esegesi. Va solo ricordato che Macron è il leader continentale dell’Alleanza che più si è speso per l’Ucraina. Fino a dare la disponibilità di inviare i suoi uomini al fronte. Ora che arriva Trump, quindi, Zelensky trema. E con lui tutta l’Europa. Certo, questa è un’altra carta che arriva a Giorgia Meloni. Unica leader stabile sul Continente, che non si è esposta più del necessario con o contro Trump e che – pur non votandola – ha saputo conservarsi un canale di dialogo preferenziale con von der Leyen. D’altra parte, la solitudine non aiuta. Vuoi perché a Bruxelles non è da tutti apprezzata. Come anche, ma soprattutto, perché sostenere da sola le ragioni dell’Ucraina e le sorti di tutta la Ue è alquanto impegnativo.
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