Tutti sanno che il Sud-Africa ha chiesto a novembre 2023 alla corte penale dell’Aja di giudicare Israele per i fatti di Gaza. Tutti sanno che nell’ambito di quel procedimento un collegio di tre persone (Camera pre-dibattimentale) ha emanato a novembre 2024 un ordine di arresto nei confronti del primo ministro Netanyahu. Può esser utile ricostruire il mosaico storico-giuridico per evitare commenti frammentati.

La ricostruzione

Il diritto internazionale si è sempre alimentato con il cosiddetto concerto delle nazioni. Ma nel 1948 germinò un vizio che avrebbe minato dall’interno i rapporti internazionali e li mina tuttora. Si volle varare la Dichiarazione universale dei diritti umani. Ci si specchiava compiaciuti nei valori dell’illuminismo francese e non si voleva vedere che ampie zone del mondo rifiutavano moltissimi punti di quella dichiarazione. Quei diritti umani negli Usa dalla metà degli anni ‘70 maturarono in qualcosa di diverso: non più a tutela dei singoli, bensì quale strumento d’ingegneria sociale. Ampie parti del mondo hanno vieppiù continuato a rifiutare molti aspetti di quei ‘nuovi’ diritti umani. Ma si è perseverato nell’andare avanti lo stesso, sognando un mondo migliore. A fine XX secolo si è voluto istituire la Corte penale internazionale, espressione di un altro sogno bellissimo: perseguire crimini internazionali individuali.

Il richiamo di Netanyahu

Il diritto si fonda sull’effettività: non basta che esista una norma, per esser vitale deve esser applicata. Ebbene, a quella corte non hanno aderito ben tre Stati sui cinque che esprimono i membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu: Usa, Russia e Cina. Non ne fanno parte paesi importanti come l’India (il più popoloso del mondo), come l’Arabia Saudita (riferimento del mondo sunnita), l’Iran (analogo per gli sciiti), né la Turchia (potenza del mediterraneo). Viene da porsi qualche domanda. Saggezza è riconoscere un errore, quando commesso ed emerso come tale. E qui soccorre il richiamo del premier Netanyahu, quando di fronte all’ordine di arresto nei suoi confronti evoca il caso Dreyfus: il capitano francese, ebreo ingiustamente accusato in Francia di tradimento e spionaggio nel 1894. A distanza di tempo si riconobbe l’errore, ma non lo si ammise; così l’affaire si ingrossò e i guai per il governo francese aumentarono a dismisura. Libertà è poter scegliere. Quindi, si è liberi se si ha il coraggio di porsi la domanda sulla ragion d’essere della corte penale dell’Aja. Se al diritto viene meno la tavola di valori condivisi, se membri di quella corte penale non ne rispettano le ordinanze, come si può credere nell’attuale ordine di arresto?

Resta solo il giudizio storico

Nel 2023 la stessa corte aveva emesso un analogo ordine di arresto nei confronti di Putin. Delle due, l’una: o hanno emesso quelle ordinanze (Putin, Netanyahu) credendo che potrebbero trovare esecuzione – testimoniando così di vivere in una bolla immaginifica – oppure le hanno emesse consapevoli che non troveranno attuazione. La soluzione più plausibile è la seconda ipotesi; ma così facendo votano consapevolmente le ordinanze a non esser effettive. Il diritto se non è effettivo, non è diritto. Quelle ordinanze da atto giuridico scivolano ad essere un giudizio storico. E non è fra le competenze del collegio di tre giudici emanare verdetti storici. Insomma, ma quella corte penale rebus sic stantibus a che serve?

Romano Ferrari Zumbini

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