La coesione territoriale
Legge di Bilancio, perché Nord e Sud non sono la stessa cosa
La Conferenza delle Regioni ha proposto, per superare questa sperequazione, un emendamento circoscritto agli Enti coinvolti nei piano di rientro
“La sessione di Bilancio ha registrato, nella discussione sulla legge di stabilità, il confronto più difficile nella dialettica tra il Governo e il sistema delle Autonomie. A prescindere dalle specifiche misure che, di anno in anno, caratterizzano il provvedimento finanziario e di bilancio, le Regioni sono particolarmente preoccupate dalle norme che trattano “il contributo alla finanza pubblica” -legato al quadro complessivo della salute dei conti pubblici – a loro carico. Anche quest’anno è stato così. Questa scelta dell’Esecutivo produce degli effetti disomogenei che incidono in maniera diversa sui singoli territori, determinando ricadute sul divario territoriale esistente. Ma facciamo un passo indietro limitando la descrizione agli elementi di sintesi.
Il Governo, difronte al peggioramento delle previsioni economiche dovute al mutamento del quadro economico complessivo, in relazione con quanto esposto nel Documento Programmatico di Bilancio presentato alla Commissione Europea lo scorso ottobre, chiede a tutto il sistema che determina la spesa pubblica, di condividere i sacrifici. Si chiede, in buona sostanza di concorrere, con un contributo economico, agli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea. La stretta non è solo quella centrale ma anche periferica. Letta cosi nulla di male, anzi siamo difronte ad una corretta e dovuta compartecipazione ai saldi di finanza pubblica. Le Regioni hanno espresso, in questi giorni, il proprio forte dissenso, in particolare sulla natura aggiuntiva della misura rispetto a quanto già previsto a legislazione vigente per un importo di 200 milioni di euro. Dai verbali delle audizioni si legge in particolare che: “Si tratta, di fatto, di un contributo aggiuntivo rispetto alla modalità ordinaria che, ai sensi della legge numero 145 del 2018, prevede il concorso alla finanza pubblica da parte di tutti gli enti territoriali attraverso il conseguimento di un risultato di competenza non negativo, come desunto dal prospetto degli equilibri di bilancio di cui al d.lgs. 118 del 2011”.
Un modo rituale per ricordare che già si è solidali ogni anno, e che un ulteriore aggravio risulterebbe insostenibile per i bilanci regionali. Fino a qui nulla di nuovo, così come non è nuova, al riguardo, la motivazione legata all’andamento della spesa primaria fra i comparti della Pubblica Amministrazione. Si ricorda che, fatto 100 il valore della spesa primaria, la spesa delle Regioni si è ridotta, negli ultimi quindici anni, del 14% mentre quella delle Amministrazioni Centrali è aumentata del 73%. Un modo per dire: le Regioni hanno già fatto la loro parte, al contrario, al centro questo è avvenuto molto meno. Le disposizioni normative valgono in generale per tutto e tutti, ma, nelle pieghe del Bilancio si evidenziano i differenti effetti sui territori.
Le Regioni quest’anno – per la prima volta e coraggiosamente – hanno voluto segnalare, all’unanimità, un problema nel problema che riguarda la spesa sanitaria nel Mezzogiorno. Una questione che coinvolge le Regioni commissariate o in piano di rientro sulla Sanità, impegnate in lunghi periodi di sacrifici determinati dal recupero dei disavanzi pregressi, essi stessi obiettivi di finanza pubblica. Le Regioni coinvolte, ad esclusione del Lazio, sono tutte al Sud: Campania, Sicilia, Calabria, Molise, Abruzzo e Puglia. Sei Regioni meridionali che, ancora oggi, sono costrette a garantire risparmi di spesa definiti per decenni, con conseguente ridotta capacità di spesa obbligatoria sul territorio e limitazioni nell’offerta sanitari ai circa venti milioni di cittadini residenti. Il Governo, e questo bisogna dirlo, ha incrementato il fondo sanitario nella disponibilità delle Regioni di oltre tre miliardi, un aumento non scontato, anche oltre le attese, ma che non finalizza specifiche risorse alle Regioni sottoposte a questa procedura. Enti, questi, che sono comunque soggetti all’incremento della spesa inderogabile, come quella connessa agli aumenti contrattuali del personale sanitario, all’incremento del costo dei farmaci, al finanziamento dei Lea e della medicina territoriale, legati a standard più elevati.
Ma se la misura sul contributo alla finanza pubblica sarà applicata, così come proposta dalla Legge di Stabilità, le Regioni del Sud dovranno pagare un esborso triplo: quello a regime del precedente triennio, il nuovo previsto nella legge di bilancio di quest’anno e quello incluso nei piani di rientro dal disavanzo. La Conferenza delle Regioni ha proposto, per superare questa sperequazione, un emendamento circoscritto agli Enti coinvolti nei piano di rientro, finalizzato alla: “Messa a disposizione, da parte del Governo, delle risorse già individuate di 45 milioni utili a ridurre il taglio per l’esercizio 2024 , agli esiti del tavolo che sarà istituito e che dovrà individuare le migliori soluzioni condivise per il contributo delle Regioni alla finanza pubblica, valutando anche la particolare situazione delle Regioni in piano di rientro”.
Come è noto il Governo non ha accolto nessun emendamento, anche se sul punto non è stato insensibile, rinviando ad un prossimo provvedimento la risoluzione del problema. Questa è una buona notizia, per il futuro prossimo! Purtroppo, anche quando non si vuole, gli effetti delle misure finanziarie messe in atto e che appaiono erga omnes producono inevitabilmente, per le sostanziali differenze regionali, un aumento del divario venendo meno agli obbiettivi della coesione territoriale.
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