Alla fine li hanno impiccati i quattro prigionieri politici curdi in Iran che avevano lanciato un disperato appello ai leader dell’Unione europea, al mondo libero, affinché ponessero fine alle loro relazioni diplomatiche e commerciali con la Repubblica Islamica, per fermare il boia che quotidianamente, all’alba, nell’ora della prima preghiera del mattino, impicca gli oppositori e i pacifici manifestanti del movimento “Donna, Vita, Libertà”. Pejman Fatehi (28 anni, di Kamyaran), Mohsen Mazloum (27 anni, di Mahabad), Vafa Azarbar (26 anni, di Bukan) e Mohammad Hajir Faramarzi (28 anni, di Dehgolan), quattro giovani curdi accusati di essere stati spie del Mossad. Hanno subito un processo sommario.

I loro corpi penzolavano penosamente con la corda al collo sospesi in aria nel salone della morte della prigione “Ghezel Hesar” a Karaj, dopo aver lottato con l’illusione di liberare le loro mani legate dietro la schiena. Hanno tentato, invano, per pochi eterni secondi di allentare la corda che stringeva il loro collo fino a spezzarlo. Hanno lottato per pochissimi secondi, annaspando nel vuoto, in quel vuoto che è stato quello dell’indifferenza della comunità internazionale. I loro corpi si erano poi scossi in un estremo sussulto di morte mentre una schiuma bianca fuoriusciva dalla loro bocca. Sono spirati nell’ora della preghiera del mattino, in nome di Dio, al grido di Allahu Akbar.

Le organizzazioni umanitarie di monitoraggio delle esecuzioni, come Hengaw che ha sede a Oslo, hanno documentato che circa 1/3 delle 829 impiccagioni effettuate in tutto il 2023 riguarda i “curdi rojhelat” (cioè i curdi dell’est, dell’Iran). Si tratta di un numero pari al 53,5% in più rispetto al 2022, quando furono giustiziati 540 prigionieri. Tra questi vi sono 22 donne e 5 minori.

È bene precisare che i quattro giovani curdi uccisi non sono affatto spie di Israele. L’accusa di essere al servizio del Mossad, mossa agli oppositori più insidiosi per Tehran, cioè ai curdi, serve al regime per rendere “accettabile” presso una larga parte dell’opinione pubblica iraniana nazionalista e antisionista le condanne a morte. Chiunque in Iran si opponga alla Repubblica islamica e ai Guardiani della rivoluzione è tacciato di tradimento e di essere al servizio dello “Stato sionista” e degli Stati Uniti.

I quattro prigionieri politici curdi, così come tutti gli altri, hanno subito un processo sommario e segreto senza il supporto di un avvocato difensore. Le accuse non erano sostanziate da alcuna prova documentale, ma solo dalla parola di falsi testimoni procurati ad hoc dai pasdaran e, nonostante ciò, la magistratura iraniana li ha ritenuti colpevoli di aver orchestrato un piano per conto di Israele per sabotare un sito di difesa nella provincia centrale di Isfahan. Domenica i parenti dei quattro attivisti curdi erano stati convocati per un ultimo saluto poche ore prima dell’impiccagione. Cresce nella società civile la preoccupazione per l’aumento esponenziale delle esecuzioni, che già in questi primi 30 giorni del nuovo anno viaggiano al ritmo di 2,5 al giorno.

Il loro arresto era avvenuto nel luglio del 2022 con il solito modus operandi dei pasdaran, cioè con la loro “sparizione forzata”. Rinchiusi nella camera di tortura del carcere di Karaj, sono stati sottoposti a indicibili sevizie e fustigazioni affinché confessassero reati mai commessi. Una tattica questa comunemente usata dai guardiani della rivoluzione contro gli attivisti, anche i più pacifici, donne e uomini e anche minori. L’esecuzione di questi quattro prigionieri viola la Convenzione internazionale sui diritti dell’Uomo essendo basata su confessioni estorte sotto tortura e senza un giusto processo, in pratica si tratta di uccisioni extragiudiziali.

Joanna Taimasi, la moglie di Mohsen Mazloum, uno dei giovani impiccati, si è scagliata contro le autorità iraniane con un post su X. “Non perdonerò né dimenticherò mai! Non ho nient’altro da dire”, ha scritto. Taimasi vive fuori dall’Iran, negli ultimi giorni si era fatta promotrice di una campagna internazionale video sui social affinché la vita dei quattro ragazzi fosse risparmiata.

Il regime iraniano sta arrestando anche i manifestanti che erano stati accecati dai pasdaran durante le proteste antiregime. Matin Hassani, 23 anni, un giovane residente a Bukan, fu accecato durante la repressione delle proteste del novembre 2019. Ora è stato rapito dalle forze di sicurezza e trasferito in un luogo sconosciuto, due giorni dopo aver visitato il luogo di sepoltura di Yalda Aghafazli, un’altra vittima che aveva perso la vita durante quelle proteste, e per aver diffuso un video riguardante questo evento.