Lettera aperta
Non possiamo rinunciare alla leadership del centrodestra
Caro Presidente Berlusconi,
Lei sa bene quanto affetto e quanta stima nutro per lei. Tra pochi giorni sono venti anni esatti che abbiamo iniziato a collaborare. Ne abbiamo viste tante insieme e abbiamo saputo volerci bene. Le devo molto, lei lo sa e io lo so. E tra le cose che le devo c’è la sincerità, qualità che non è mai mancata nella nostra lunga collaborazione professionale e politica, anche quando era difficile essere sinceri con lei.
E allora, per sincerità, vorrei dirle che non voglio nascondermi dietro un “distinguo” rispetto alla scelta di astensione di Forza Italia sulla commissione Segre. Io ho manifestato pubblicamente una perplessità, lei ha stigmatizzato con forza questa perplessità, affermando che non si può dubitare del suo impegno costante e coraggioso contro l’antisemitismo. Ci mancherebbe altro. La sua storia personale e politica parla per lei.
Ma qui il punto è un altro: la questione della commissione Segre evidenzia un passaggio politico molto più profondo, perché dietro di essa c’è una Forza Italia che ha ceduto la propria leadership naturale del centrodestra, e non mi riferisco alle percentuali di voti, ma ai valori che vogliamo rappresentare. Penso che ci sia bisogno di una leadership del centrodestra diversa da quella incarnata da Salvini, il quale sarebbe il primo a beneficiarne, se anche lui volesse esprimere un’Italia moderna e vincente.
Io credo che questo sia un mondo in cui non è più possibile pensare di costruire muri e contrapposizioni per rispondere ad una complessità sempre più forte. Siamo tutti troppo interdipendenti, non possiamo più permettercelo. Noi tutti, anche lei, siamo figli di una lunga cultura politica della contrapposizione che abbiamo anche alimentato e che purtroppo non siamo riusciti a superare. Se guardiamo l’Italia di oggi, quella cultura non ha prodotto nulla di buono. Parliamoci con franchezza, una volta e per sempre. Noi abbiamo combattuto certa magistratura, abbiamo fatto la marcia sul Tribunale di Milano, abbiamo lottato contro la cultura e il sistema di potere della sinistra: è stato tutto un andare contro qualcosa o qualcuno. Certo ancora oggi molto lontana da quelle fazioni, ma ho scelto di non volere più essere come loro. Sono convinta che guardando la sua, la nostra vicenda politica, le si debbano riconoscere meriti storici straordinari, ma anche una responsabilità nel non essere riusciti a far superare a questo Paese la logica di una contrapposizione sorda e paralizzante. Salvini rappresenta e incarna l’evoluzione più avanzata di questa proteina – quella della contrapposizione – che anche lei, Presidente, ha sperimentato nella dialettica politica. Per questo penso che non si debba e non si possa seguire Salvini finché a sua volta continuerà su questa strada. E credo e spero che anche Salvini ne abbia piena consapevolezza. Non si tratta di una deriva autoritaria e men che meno fascista, ma di un paradigma ormai inserito nel nostro sistema per il quale il potere, il consenso e il successo devono nascere per forza sulla base di un nemico che va identificato e sconfitto, di qualcuno che sbaglia e contro cui dobbiamo scagliarci. Anche io mi sono fatta artefice di questa modalità politica per molto tempo, ma non ci riesco più, non credo che sia quella giusta, non per questo tempo.
La commissione Segre era un’opportunità: significava stabilire la leadership della cultura moderata all’interno del centrodestra. Ci saranno altre occasioni, ed io intendo muovermi sempre di più in questa direzione, perché credo che possiamo avere la capacità di immaginare una politica nuova, finalmente non più con la testa all’indietro ma ben saldata nella contemporaneità, che richiede approcci più fluidi, pur nel confronto aperto fra idee e speranze diverse.
Se lei sente di non avere più la voglia di mettersi in discussione per trovare nuove strade per servire il Paese non posso certo biasimarla, ma augurarmi che possa, questo sì, trovare l’umiltà per comprendere che il frutto migliore del suo impegno politico saranno i suoi errori, quelli che non dovranno essere ripetuti da chi l’ha amata e davvero capita.
Non dobbiamo avere paura di ammetterlo, questa Italia è anche figlia della nostra storia politica. Io sento il dovere di continuare a cercare la strada migliore per il mio lavoro quotidiano. Forse non ci riuscirò, ma la vita è troppo breve per trascorrerla senza aver mai tentato davvero di fare ciò che abbiamo nel cuore e nella mente. Anche questo me lo ha insegnato lei e mai come oggi questa lezione mi è chiara.
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