La Commissione europea taglia le stime di crescita per l’Italia e pianta una grana sul percorso di approvazione della manovra finanziaria, attualmente al vaglio del Parlamento, che dovrà essere licenziata entro il 31 dicembre. Secondo Bruxelles, l’Italia crescerà dello 0,7% entro la fine di quest’anno e dell’1% nel corso del prossimo. Le stime del governo, contenute in quella che una volta si chiamava Legge finanziaria, invece confermano l’1% per l’anno in corso e l’1,2% per i prossimi 12 mesi. Non è che ci volesse la cartomante per capire che il Prodotto interno lordo italiano si stava incagliando. La situazione geopolitica internazionale, il crollo dell’industria tedesca, i consumi al palo in Cina e i dazi per l’export negli Stati Uniti sono alcune delle spie che in questi mesi sono state segnalate all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Senza contare che i consumi interni sono stati falcidiati dall’inflazione che ha ridotto di molto il potere di acquisto degli italiani.

Previsioni

Nelle ultime settimane diversi studi hanno segnalato al governo che le stime proposte dal ministero dell’Economia erano troppo generose: a partire dall’Ufficio parlamentare di Bilancio per arrivare alla Corte dei Conti, Confindustria e sindacati. Il Mef, guidato da Giancarlo Giorgetti, non ne ha voluto sapere. Il risultato? Tra le stime della Commissione e quelle governative balla – in due anni – uno 0,5% di PIL, cioè svariati miliardi.

Tanta ostinazione dall’esecutivo si deve a due motivi. Il primo è che, con una previsione di crescita più alta, si potrà prevedere un maggiore indebitamento in valori assoluti e un miglior rapporto deficit/PIL e debito/PIL in modo da rientrare nei parametri del Patto di stabilità. Il secondo, invece, riguarda proprio il nuovo Patto. Nel 2025 si ritorna sotto lo stretto controllo delle regole contabili che Meloni ha firmato nel dicembre 2023 insieme a tutti i partner europei.

Quest’anno, perciò, si può fare un po’ più di debito; dal prossimo sarà necessario rispettare le nuove prescrizioni. Per i prossimi 7 anni il governo dovrà tagliare la spesa pubblica di una cifra molto vicina ai 12 miliardi di euro l’anno, così come prevede il nuovo Patto di stabilità. Se quest’anno ci sarà un po’ di debito in più, dunque, si spalmerà per i prossimi 7 anni. Una soluzione tipicamente all’italiana che scarica sui figli le gestioni allegre dei padri.

Conseguenze

In una situazione normale, l’esecutivo dovrebbe correggere le previsioni del Piano strutturale di Bilancio alla luce dei nuovi numeri e proseguire su una gestione prudente dei conti. C’è da scommettere che questo non accadrà e come al solito, a metà del prossimo anno, bisognerà fare i conti con la realtà con un’eventuale manovra integrativa. Il governo non interverrà per un motivo semplice: ritiene le proprie previsioni più affidabili di quelle dell’Unione europea. Un cittadino normale non può che sperare che abbia ragione il tandem Meloni-Giorgetti; eppure sono 30 anni che i governi italiani fanno previsioni per le leggi finanziarie puntualmente smentite poi nella loro attuazione. E, puntuale come il Natale, bisognerà ricorrere a un aggiustamento dei conti.

Sarà interessante, invece, cosa deciderà la Commissione Ue sulla manovra inviata dall’esecutivo. Entro la fine di dicembre si attende il giudizio di Bruxelles che, con ogni probabilità, sarà attendista limitandosi a un richiamo per l’Italia. Le eventuali infrazioni si conosceranno solo a partire da marzo del prossimo anno. A preoccupare, però, dovrebbero essere anche le previsioni al 2026. Sempre secondo il report della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, l’Italia tra 2 anni crescerà meno di tutta l’Unione: più 1,1% rispetto a più 1,6% del Vecchio Continente. E ciò a dispetto dei miliardi ottenuti dal Pnrr che, ancora una volta, sembrano avere un impatto zero sull’economia del Belpaese. Anche in questo caso, però, la politica fa orecchie da mercante.

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