L'intervista
Liberazione anticipata, Amirante: “Il D.L. doveva affrontare sovraffollamento e suicidi ma non ci saranno benefici. Manca personale e servono percorsi di risocializzazione”
A colloquio con la Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Salerno e Coordinatrice Nazionale del CONAMS (Coordinamento Nazionale Magistrati di Sorveglianza)

Il primo obiettivo che persegue il D.L. 92/2004, lo dice il suo Articolo 1, è quello di aumentare i livelli di sicurezza, operatività ed efficienza delle carceri. E lo fa incidendo sulle carenze organiche del corpo di Polizia Penitenziaria. Monica Amirante, è solo questo il personale di cui gli istituti penitenziari necessitano?
Gli istituti penitenziari soffrono un’enorme carenza di personale, in primis di quello di polizia. Non prendiamo il problema sottogamba: un sotto organico che va in stress pregiudica anche il benessere dei detenuti. Tutelare l’uno significa tutelare anche l’altro, vanno di pari passo.
Ottima, quindi, l’idea di incrementare l’organico, ma purtroppo non si avranno, di fatto, benefici immediati.
Parliamo delle altre esigenze che l’emergenza carceraria esplicita. Il sovraffollamento sembra essere affrontato con una parziale modifica di un istituto che esiste già: la liberazione anticipata, ora legata inscindibilmente alla domanda di un beneficio penitenziario o di una misura alternativa oppure alla esatta determinazione del fine pena se di prossima scadenza. È uno stravolgimento?
Non dimentichiamoci l’origine dell’istituto. La liberazione anticipata è nata dall’esperienza carceraria, dalle rivolte che andavano contenute, dai malumori che andavano alleviati. Serve ad impiantare un seme di speranza e a mantenerlo vivo in chi, ristretto, si abbandona allo sconforto, non vede una fine. Ma se così è, il messaggio che manda questa riforma strutturale della liberazione anticipata è opposto: mi occupo di te solo quando è necessario o quando è il tuo turno. E non è un bel messaggio.
La nuova procedura introdotta dal Decreto Carceri vorrebbe rendere più efficiente e rapida la concessione della liberazione anticipata, affidando ai Magistrati di Sorveglianza un controllo spontaneo ed ex officio della sussistenza dei presupposti. Si semplifica l’accesso al beneficio?
Se possibile la nuova procedura, più che semplificare, rallenta. Introduce un meccanismo farraginoso che coinvolge più soggetti – Procure, Direttori delle carceri e Magistratura di Sorveglianza – e di fatto tende ad allentare quella prossimità tra magistrato e soggetto ristretto. In più il Decreto non fa i conti con la vetusta informatizzazione di tutta la fase esecutiva: il nostro SIES è arcaico, con la conseguenza che non consente un calcolo rapido ed agevole del fine pena. E allora dovrebbero venire in aiuto i Direttori degli istituti penitenziari, che però scontano eguali problemi.
Ad essere sovraffollate, in ogni caso, non sono solo le carceri, ma anche le comunità. Il Decreto Carceri interviene anche su queste, accreditando le strutture già esistenti e stanziando 7 milioni annui per garantire l’accesso ai non abbienti. Una soluzione “a metà”?
Un intervento sulle comunità non può che essere salutato con gioia, perché dimostra l’intento di rendere più effettivi e concreti i dettami dell’art. 27 Cost., certamente “mal digerito” in Italia, dove fa paura l’idea che il detenuto esca dal carcere e torni alla vita. Trovo però allarmante questa tendenza alla privatizzazione del settore: di fatto si va sempre più verso una gestione privata dell’esecuzione penale esterna, come se lo Stato si spogliasse di quella che è una funzione fondamentale.
Altra esigenza primaria in questo periodo buio per la situazione carceraria in Italia è di far fronte al drammatico fenomeno dei suicidi. Il D.L. sembra affrontare in parte il tema della condizione psicologica dei detenuti aumentando il numero di colloqui telefonici consentiti. È un aiuto concreto? Di cosa ha bisogno chi è ristretto oggi in Italia?
Già dopo l’emergenza Covid è stato consentito ai Direttori degli istituti di aumentare il numero di colloqui, quindi qualcosa era già in atto. Ma in ogni caso non basta, e il problema della solitudine di chi è ristretto non si affronta così. Va cambiato l’approccio complessivo, occorre creare percorsi veri di risocializzazione, e così spogliare il detenuto del timore di essere dimenticato dal mondo. È questa la vera paura.
Tiriamo le somme.
Di fronte ad una situazione così esplosiva e drammatica come è quella delle carceri italiane non si avrà alcun beneficio significativo rispetto all’obiettivo originario del Decreto, che doveva affrontare concretamente i problemi del sovraffollamento e dei suicidi.
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