Neil Lawrence è stato il primo docente di apprendimento automatico all’Università di Cambridge. È anche autore di “The Atomic Human: Understanding Ourselves in the Age of AI”, dove scrive: “Qualsiasi aspetto dell’abilità umana che può essere quantificato è a rischio di automazione. Ma gli aspetti più essenziali dell’umanità sono i più difficili da misurare”. Definisce questo “nocciolo” non sostituibile da alcuna macchina, “The Atomic Human”. Dove si rintraccia? “Lo troviamo nel modo in cui un’infermiera spende qualche minuto in più per assicurarsi che un paziente sia a suo agio o un autista di autobus si ferma per consentire a un pensionato di attraversare la strada o un insegnante elogia uno studente in difficoltà per renderlo più sicuro”. Tutto questo, non essendo misurabile, non è neanche sostituibile.

I licenziamenti

A sostituire, licenziandoli, centinaia di lavoratori, ci hanno pensato la società di consulenza Deloitte (che quest’anno ha mandato a casa centinaia di dipendenti) e Google e Meta (che nel 2023 hanno operato tagli massicci nel settore tecnologico). Molti di questi lavoratori hanno filmato in un video, poi postato su TikTok, l’annuncio del loro licenziamento. Si contano oltre 32.000 post sulla piattaforma cinese di video sharing con l’hashtag #layoffs (licenziamenti): i giovani dipendenti hanno così usato i social media per esprimere le proprie opinioni sui luoghi di lavoro ritenuti tossici, sulla loro cattiva gestione o sui trattamenti ingiusti subìti, mettendo sotto accusa – oltre che sotto i riflettori – società e management.

Sono quelli della GenZ ad aver alimentato la tendenza virale a pubblicizzare un evento tanto traumatico quanto, in alcuni casi, liberatorio e che lancia nuove sfide per le aziende che gestiscono un’immagine pubblica sempre più in crisi. “Non siamo solo numeri che hai portato dentro e che puoi scartare. Siamo persone vere”, scrive una giovane donna appena licenziata. E intanto esercitano pressioni sulle società, soprattutto quelle tecnologiche.

La mancanza di inclusività e le riunioni improduttive

Nel frattempo una recente ricerca condotta su 3.500 lavoratori di diverse fasce di età, per l’Inclusion Initiative presso la London School of Economics, ha riscontrato che la mancanza di inclusività fa perdere tempo e denaro. E rende, per esempio, il 35% delle riunioni di lavoro del tutto improduttivo. Se c’è una cosa su cui la Generazione Z, i Millennials, la Generazione X e i Boomer concordano è che le riunioni di lavoro sono spesso inutili, che risultano in gran parte poco piacevoli e, soprattutto, richiedono troppo tempo. Come se non bastasse sono anche dispendiose: si calcola che il costo annuale delle riunioni improduttive, in ore sprecate, potrebbe essere nell’ordine dei 259 miliardi di dollari, solo negli Usa. La ricerca ha scoperto che le persone della GenX, tra i 40 e i 50 anni, parlano di più; mentre la GenZ, i più giovani sul posto di lavoro, di circa 20 anni, molto di meno – e ben tre quarti delle riunioni non includono affatto una loro voce. Ma sono le voci dei Boomer, a cascata, a soffocare i contributi di tutti i colleghi più giovani: lasciare che le riunioni siano dominate dalla generazione che parla più forte può implicare il fatto che le aziende perdano idee e nuove prospettive.

I leader devono cambiare approccio

Per essere veramente inclusivi, hanno argomentato i ricercatori, i leader dovrebbero cambiare il proprio approccio. E dunque dimostrare che i contributi siano apprezzati, utilizzare le idee di tutti e infine essere aperti a nuove prospettive. Più facile a dirsi che a farsi. Ma il dato interessante è che l’Intelligenza Artificiale può aiutare molto, rendendo più evidenti alcune delle cattive abitudini che si portano in riunione. Per esempio gli strumenti di elaborazione del linguaggio naturale possono segnalare se certe voci sono dominanti e allertare i manager sulle dinamiche più problematiche, tra cui l’esistenza di una sovrarappresentazione di una generazione o un gruppo di persone.

Il contributo dell’intelligenza artificiale

Oggi sono in via di sviluppo strumenti in grado di determinare chi – durante un meeting – ha dominato la discussione oltre i 10 minuti canonici. E anche se nessuna tecnologia può obbligarci ad ascoltare, l’IA è in grado di renderci più consapevoli della tendenza a dare priorità esclusivamente alla nostra voce. Per fare due esempi, l’assistente per le riunioni Fathom AI (app gratuita che registra, trascrive e riepiloga le call su Zoom o su altre piattaforme) o Grain (piattaforma di intelligenza conversazionale potenziata dall’IA) possono spingere i partecipanti a riflettere e decidere di intervenire solo quando hanno realmente qualcosa da dire: dopotutto, chi vuole sentire un punto di vista mediocre espresso ripetutamente? L’Intelligenza Artificiale generativa può anche suggerire domande per approfondire, consentendo discussioni di migliore qualità e incoraggiando le voci più pacate ad ampliare le proprie idee. Perché la voce più potente non è necessariamente quella più urlata; spesso è quella che meglio distilla l’intelligenza collettiva in intuizioni praticabili.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi