Che un quotidiano dedichi spazio al tema della salute mentale non è certo comune, considerato lo stigma sociale che ancora caratterizza il nostro modello sociale. Certamente non è popolare accendere un faro su una grande tematica di questa disciplina, ovvero la cura della salute mentale per gli autori di reato. La cronaca nera si occupa dei singoli casi, ma serve trovare uno spazio culturale che si faccia carico di analizzare le falle del nostro sistema e le relative soluzioni. In principio furono i manicomi criminali, chiusi con la riforma del 1975 e rimpiazzati dagli Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) i quali, tuttavia, si sono dimostrati ancora insufficienti alla riabilitazione dell’individuo che ha commesso il reato. Per questa ragione, dal 2012, sono state introdotte le Rems (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) spostando così le competenze della medicina penitenziaria dal Ministero di Grazia e Giustizia a quello della Sanità.

In sintesi subordinare la detenzione alla riabilitazione, fissando il numero massimo di persone ospitabili. Obiettivo delle Rems era quello di essere strutture non solo detentive, ma anche riabilitative. Si è così creato un primo grosso problema legato all’insufficienza dei posti disponibili rispetto alle istanze di ricovero: circa settecento persone con pericolosità sociale non trovano ospitalità nelle Rems e nemmeno adatta collocazione nelle altre strutture di ricovero. Spesso esaurita una detenzione impropria nelle carceri ordinarie, il malato si trova senza cure. Le carceri ordinarie per altro da tempo soffrono l’elevata presenza di persone con disagio psichico, che aggravano le già complesse condizioni di trattenimento degli altri detenuti, e di lavoro per il personale e la polizia penitenziaria.

Le Rems in Italia sono solo trenta e ci sono lunghe “liste d’attesa” determinate dai numeri elevati e da un cortocircuito istituzionale tra tribunali, direzioni sanitarie e direzioni generali delle strutture. Il lavoro con questa tipologia di persone con malattia psichiatrica è complesso in ogni tipologia di struttura, e non assimilabile a quello con altri pazienti privi di questa ulteriore severità. Non considerarlo sarebbe come assimilare un ricovero in medicina a quello in terapia intensiva. Le conseguenze sono un appesantimento delle condizioni di vita di malati che giungono a gesti estremi, delle famiglie lasciate sole, degli operatori carcerari, e di operatori sanitari sempre meno numerosi.

Il Terzo Settore a volte riesce a dare le risposte a cui le istituzioni faticano ad arrivare. Bisognerebbe fare emergere questi modelli positivi per trarne elementi di replicabilità. È il caso della Fondazione Adele Bonolis As.Fra. Onlus realtà del territorio brianzolo dal 1957. Opera a Vedano al Lambro, nell’ambito della salute mentale offrendo servizi psichiatrici residenziali ad alta intensità di cura. Come ricorda il Presidente, Alessandro Pirola, la Fondazione affronta la complessità di cura nella certezza che la persona abbia sempre potenzialità da esprimere e sia essa stessa una risorsa per la comunità. La struttura oggi offre accoglienza a ottanta ospiti residenziali, circa cinquanta pazienti in accoglienza diurna, gestisce sette alloggi di housing assistito, e ne sta costruendo altri sei strumentali al recupero dell’autonomia e al reinserimento sociale e lavorativo. Qui molti ospiti sono autori di reato con misure alternative alla detenzione, restrittive o con trascorsi in tal senso.

Questi utenti sono sempre stati una caratteristica peculiare della Fondazione Adele Bonolis e si sono sviluppate competenze specifiche. Le doppie diagnosi, psichiatria e dipendenze, e la consapevolezza che i soggetti autori di reato hanno complessità non proprie dei “normali” ospiti psichiatrici, comportano un carico di lavoro aggiuntivo nella loro cura e gestione. La Fondazione da sempre ha suggerito modalità operative e amministrative in una logica di coinvolgimento e dialogo ampio e interistituzionale, con la politica, la magistratura, il sistema penitenziario, e i luoghi di cura per acuti per portare proposte che garantirebbero appropriatezza terapeutica, una gestione più adeguata delle patologie, e un potenziale recupero sociale degli autori di reato contribuendo a prevenire drammatici fatti di cronaca anche recente. L’invito del Presidente Pirola è chiaro, occorre che le istituzioni conoscano queste realtà, le valorizzino, le valutino e avviino in una ottica sussidiaria modelli sperimentali di assistenza e cura che partano dal rapporto relazionale tra chi cura e chi è curato.

Chi sta vicino al bisogno è in costante sviluppo. Entro l’anno la Fondazione inaugurerà ulteriori alloggi per l’autonomia – iniziativa largamente autofinanziata che ha visto anche un importante contributo della Fondazione Cariplo – e l’erogazione di due giornate formative tematiche sulla cura psichiatrica agli autori di reato offerte alla comunità professionale territoriale. Il privato sociale c’è, dunque, ma è giunto il tempo che anche le Istituzioni pubbliche facciano maggiormente la loro parte.

Lorenzo Guzzetti

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