Marco Mancini – per trent’anni nel controspionaggio, fino ai vertici del Dis – confida al Riformista qualche notizia che gli arriva di prima mano dai fronti di crisi.

Ieri l’esercito di Kyiv ha inferto un duro colpo a Putin, colpendo nel cuore di Mosca.
«Questo dimostra che gli americani non hanno tolto l’appoggio di intelligence all’Ucraina. Almeno non ancora. Né è venuto meno Starlink, al centro di tante polemiche. Il successo dell’intervento dei droni a Mosca presuppone un’attività di intelligence per la quale le forze armate ucraine continuano – ad oggi – ad avere il sostegno americano».

Le trattative di Gedda sono un seme, una speranza?
«Stiamo ai fatti. Due notti fa su Kyiv hanno colpito 248 droni russi, poi altri 150. Poi dall’Ucraina è partita una controffensiva. Nel frattempo, tutte le centrali termoelettriche di Kyiv sono state danneggiate: mentre Putin parla di pace, continua a bombardare. A Gedda più che la pace è in gioco l’estrazione delle terre rare: pare che Zelensky sia deciso a firmare il contratto chiesto dagli americani».

Si può vincere una guerra senza un’adeguata attività di intelligence?
«No, assolutamente no. E senza intelligence non si possono fare neanche delle proposte. L’Europa in questi tre anni non ha fatto che offrire armi: se ci fosse stata una attività di intelligence si sarebbero trovate alternative sul piano diplomatico. Lo dico guardando a Israele, dove a lavorare per il cessate il fuoco sono stati, a monte della diplomazia, gli ufficiali di quattro agenzie».

Quali?
«Il Mossad, la Cia di Biden, i servizi segreti del Qatar e quelli egiziani. Sono loro che hanno messo insieme i presupposti per la firma di questa tregua che, pur vacillante, è l’unico barlume di speranza in Medio Oriente. Hanno portato loro alla liberazione di ostaggi e di detenuti palestinesi».

Interessante, nel momento in cui si ragiona di esercito europeo, di difesa comune. Forse bisognerebbe partire da una intelligence comune?
«Occorrerebbe, e già da tempo, non solo coordinare meglio i servizi di intelligence ma dare vita a una autority europea dell’intelligence, capace di muoversi con un centro di comando e controllo unico. Si può fare prima e meglio che tentando di unificare le forze armate. per prevenirle. Quando i servizi segreti funzionano, si scongiurano guerre e vittime».

Nel Regno Unito ci sono stati arresti di agenti bulgari al servizio della Russia. Di cosa stiamo parlando?
«Sono stati condannati tre cittadini bulgari, più un quarto in contumacia: Vania Gaberova, Katrin Ivanova, Tihomi Ivancev erano al soldo del SVR, avevano come capo struttura Jan Marsalek, figura importantissima e ancora rimasta nell’ombra. Monitorare obiettivi da colpire, forse dissidenti russi, su mandato di Mosca. Da collegarsi con le recenti attività dei russi in Austria e Germania, dove pure, con grande riserbo, sono stati arrestati altri agenti».

Chi è Jan Marsalek?
«Un elemento importante dei servizi segreti russi, nato in Austria, dotato di diversi passaporti. Socio in affari di Almasri, in Libia: è tra gli organizzatori della nuova Wagner russa in Africa, con lo scopo di veicolare migranti in Europa. Almasri e Marsalek sono i due che aprono e chiudono a piacimento il rubinetto dei migranti, per destabilizzare l’Europa. E per prima, l’Italia. Con la bella stagione ci sarà un nuovo exploit di barche, barchini e barconi verso le nostre coste».

Se la Libia traballa, la Siria barcolla. Gli equilibri interni sembrano saltati…
«Nella giornata di lunedì sono stati uccisi nei pressi di Latakhia duemila cittadini alawiti, quelli rimasti fedeli a Bashar Al-Assad. E in quell’area ci sono 15mila alawiti, lealisti, finanziati dall’Iran. Hanno tentato di fare un colpo di Stato guidato da Meher Al-Assad, un generale del deposto esercito siriano, fratello dell’ex presidente. La sua base è in Iraq ma le sue operazioni passano per la Russia, dove Meher Al-Assad è rientrato ieri, dopo aver visto fallire il golpe».

Come è andata, secondo le sue informazioni?
«Il gruppo sciita che Meher Al-Assad ha tentato di introdurre in territorio siriano si chiama Al hasheb al-shaaib, “Mobilitazione popolare”. Una formazione sciita, finanziata da Teheran, che ha provato ad occupare nei giorni scorsi una base militare da cui dichiarare l’indipendenza di uno stato nel nord. Al Jolani ha appreso la notizia, ha pronunciato un discorso alla popolazione e ottenuto l’appoggio di un milione e mezzo di siriani contro questo gruppo. Da qui lo sterminio di duemila militanti di “Mobilitazione popolare”».

Gamba tesa dell’Iran, quindi. All’insaputa di Mosca?
«I servizi segreti russi si sono dissociati da questo intervento: il Gru sta prendendo accordi con Al Jolani. Sul piatto c’è una base militare richiesta dai russi in Siria, mentre da parte siriana la richiesta è di 300 miliardi di dollari di risarcimenti di guerra e la restituzione di Bashar al-Assad, richiesta che Mosca avrebbe già declinato».

Nel frattempo, Hamas è sconfitta o no?
«Ha subito perdite per 20mila miliziani ma ne sta arruolando anche di più. Ad oggi può contare su 45mila effettivi armati. E procedono nel dialogo con gli Usa, tramite la Cia. L’amministrazione Trump sta trattando direttamente con Hamas su cinque cittadini americani: quattro sarebbero già morti, ma uno è vivo. Hamas li restituirà ma chiede in cambio di liberare altri 250 prigionieri palestinesi».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.