Lol – Chi ride è fuori, leggo, è un “game show” che si abbatte su di noi da Amazon Prime Video, a condurlo Fedez e Mara Maionchi, figurine jolly della televisione odierna al confine con i social. Tra i concorrenti, l’apprezzabile Elio, Katia Follesa, Frank Matano e altre faccine varie ed eventuali. Il sottotitolo più opportuno da consegnare al format dovrebbe contemplare una sentenza: anche il demenziale non è più quello di una volta. Come nel “gioco del silenzio” di memoria scolastica elementare, ergo infantile, il primo che ride deve ritenersi escluso.

I concorrenti entrano in studio alla spicciolata, mostrando tutti, almeno di fronte a se stessi, la garanzia d’essere irresistibilmente comici; certezze presunte. Come preside e vicepreside, il Fedez e la Maionchi osservano e studiano i pulcini da una postazione video segreta, come già Goldfinger, certi che nessuno dei prescelti riuscirà a resistere a lungo al supplizio, e intanto, proprio come l’“infame” del “Cuore”, ridono liberamente, sadicamente, banalmente di tutti loro. In questo senso, sembra quasi che Lol serva a testare innanzitutto le qualità attoriali, dunque comiche, dei suoi protagonisti-concorrenti, percezione errata poiché in verità l’obiettivo ultimo dell’intero gioco è semmai stabilire complicità con lo spettatore, quanto insomma quest’ultimo, se lì presente, resisterebbe alla tortura crudele della propria tenuta comica ed emotiva. Il filosofo che più d’altro ha provato a penetrare il significato del comico si chiama Bergson, questi ha addirittura dedicato al tema un saggio, Il riso.

Tra le cose più significative indicate dal pensatore francese, come essenzialmente comiche, dunque in grado di suscitare esattamente la risata incontrollabile, si annovera il caso del povero disgraziato che dovesse inciampare: ne consegue una fragorosa, nuovamente infame, risata da parte degli astanti, oppure, continua ancora Bergson, «… una faccia triste non fa ridere, due facce tristi, l’una accanto all’altra, sì». Con Lol non siamo in presenza di nessuna vetta degna delle riflessioni ontologiche, semmai scorgiamo un insieme di salariati dello spettacolo commerciale lì convocati per le loro comprovate attitudini da “cazzari”, genere di talento degno dei capannelli che hanno luogo storicamente presso l’officina dell’amico carburatorista, fessi che hanno fatto strada fi – no a raggiungere le piattaforme dell’intrattenimento.

Così nella certezza che ogni mediocre ridente potrà identificarsi pienamente in loro. Torna in mente, pensando a ciò che dovranno escogitare per rendersi convincenti, uno dei diversivi scolastici dei baby boomers, se è vero che costoro, in tempi non ancora segnati dai social, si dilettavano a inseguirsi armati di ombrello con l’obiettivo di arpionare, da dietro, le palle del compagno in fuga; sarà stato il 1975, giorni della scomparsa di Pasolini, e un simile esercizio ci accadde di scorgerlo perfino lungo Trafalgar Square, dove l’inseguitore, intanto che si avvicinava all’inseguito, con idioma rionale, così garantiva: “Ti li pigliu, li gugliuna!” Ecco, più che a un Bergson, il riferimento alto per definire Lol sembra corrispondere al lancinante grido di battaglia vernacolare del “Che cazzo te ridi?” Anche le battute sono scarti dell’ormai avariato stile demenziale, come quando Frank Matano mima un prete privo di braccia intento a fare il segno della croce, freddure, eppure intanto i giudici ne ridono dalla loro, beati, beoti.

D’altronde, giusto per citare lo zeitgeist, ossia lo spirito del tempo, non è forse vero che tra i contenuti più cliccati di YouTube troviamo coloro che, muniti di accendino, creano piccoli fuochi fatui dalle proprie scoregge? Chissà se Marcel Duchamp, l’artista che per amor di dadaismo disegnò i baffi alla Gioconda, accompagnando l’immagine con la scritta-acronimo L.H.O.O.Q., allusiva a un possibile “lei ha caldo al culo”, riderebbe di Elio incorniciato proprio dentro una riproduzione della povera, compianta, Monna Lisa.

Avatar photo

Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate