Fare punto e a capo. Rispondere non alle inchieste giudiziarie o alle speculazioni politiche, ma alla necessità di partire da quanto fatto a Milano – tanto in assoluto, tantissimo rispetto al Paese – per scrivere un secondo capitolo della crescita. Sarebbe folle e antistorico mettere in discussione il principio della rigenerazione urbana, ma anche miope non rilevare a questo punto che “ormai da molto tempo, Milano cresce, ma – dal punto di vista sociologico – si ha la mancanza di una visione politica”. A dirlo è Luca Bottini, ricercatore di sociologia urbana presso l’Università Milano Bicocca, per il quale la città ha adottato negli ultimi due decenni uno “sguardo corto, che potesse produrre risultati tangibili in breve periodo”, ma ignorando una verità fondamentale: la città è un luogo particolare dove convergono tante variabili, tanti elementi che creano un piccolo caos e che in qualche modo devono essere governati.

Milano? La città della movida

La metropoli lombarda si sta progressivamente avvicinando all’idea di “global city”, pur rimanendo una realtà inserita in un contesto nazionale con dinamiche economiche e salariali molto diverse da quelle di megalopoli come New York o Singapore. “Il punto critico però, insisto, risiede nell’azione politica – ribadisce Bottini – perché alla fine è la politica che ha il potere di dire sì, di dire no, di scegliere e determinare quale tipo di città sia possibile realizzare. E Milano sembra aver scelto, più o meno consapevolmente, di diventare la città della movida – ad esempio – con tutto quello che ne consegue, ma in generale di attrarre masse di city users che vengono, lasciano il loro contributo economico e poi se ne vanno, piuttosto che valorizzare il proprio straordinario patrimonio culturale, artistico, perfino scolastico”.

Milano tra fragilità e limiti

È questo modello di sviluppo che starebbe mostrando tutta la sua fragilità e i suoi limiti: “Impostata così com’è, questa città non riesce a reggersi se non corre – sottolinea Bottini – tant’è vero che basta uno shock esogeno per cui tutto si blocca. Questo dimostra che le basi su cui si fonda questo tipo di modello sono deboli, sono superficiali”. Quindi una città che per stare in piedi ha bisogno di correre sempre più veloce, senza mai fermarsi, è una città intrinsecamente fragile. E lo dimostra perfino quando viene toccata da un’azione giudiziaria, come quella che sta riguardando l’edilizia. Del resto, la sociologia urbana insegna da tempo che la città è un organismo complesso in cui tutto si sostiene. “Come ogni organismo ci sono dei sotto organi, c’è un sistema fatto di sottostrutture che devono interagire tra di loro e devono funzionare. L’idea che la città è una specie di organismo vivente c’è fin dall’origine di qualsiasi disciplina, fin dalla scuola di Chicago – spiega Bottini – Non posso pensare di progettare una rigenerazione urbana senza tenere conto degli effetti che, cambiando lo spazio, avrò sugli individui. Eppure a Milano pare si sia scelto proprio di insistere molto su una trasformazione urbana che si è rivelata fruibile per chi può spendere molto, chi può permettersi di vivere la città con alti standard, producendo crescita, ma anche trasformazioni sociali che oggi vediamo tutti: dalle crescenti disuguaglianze alla difficoltà di accesso per fasce sempre più ampie di popolazione”.

La sfida della rigenerazione

Il tema delle periferie, in particolare, rimane uno dei più critici e spinosi. Rigenerare il tessuto edilizio e urbanistico non basta se non si interviene anche, e soprattutto, sulla dimensione sociale. “Abbiamo evidenze da decenni sul fatto che se si procede a una rigenerazione urbana che non sia etica si verificano effetti collaterali che vanno contro il bene della società locale”. Serve dunque una visione politica lungimirante e ad ampio raggio, capace di tenere insieme le molteplici dimensioni – economica, sociale, culturale, urbanistica – che determinano la vita di una città, di considerare le evidenze empiriche fornite dalle scienze sociali. Solo così Milano potrà vincere la sfida della rigenerazione urbana e continuare a crescere in modo inclusivo, equilibrato. Ed essere un modello.

Mario Alberto Marchi

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