Se credete che solo il Covid abbia una variante brasiliana, vi sbagliate di grosso. Anche il garantismo e la solidarietà esternati dal Partito democratico ce l’hanno e a propiziarne la scoperta è stato l’annullamento delle condanne verso l’ex presidente brasiliano Lula che ora torna in corsa per le presidenziali del 2022. È bastato che la notizia si diffondesse in Italia per mandare in visibilio i vertici via del Nazareno. E così, sulla pagina Facebook dei democrat, è stato un tripudio di «ci sono voluti quattro anni, ma giustizia è stata fatta», «la farsa finalmente è finita», «il Brasile recupera l’impegno di un uomo che, da presidente, dedicò tutto se stesso alla lotta contro le ingiustizie sociali». Parole che trasudano entusiasmo e quasi fanno sorgere il sospetto che il vero candidato del Pd alle prossime comunali di Napoli sia proprio Lula, altro che Roberto Fico o Gaetano Manfredi o Enzo Amendola.

È interessante, a questo punto, confrontare l’ex presidente brasiliano con Antonio Bassolino. I due hanno molto in comune. Anche l’ex sindaco di Napoli e governatore campano è stato un punto di riferimento per la sinistra e per le istituzioni, poi è finito nel mirino della magistratura (non per quattro anni come Lula ma addirittura per 13, visto che il primo avviso di garanzia risale al 2007 e l’ultima assoluzione a novembre 2020), infine è stato scagionato e ora è pronto a giocarsi la sua partita per Palazzo San Giacomo. Eppure per la fine del calvario giudiziario di Bassolino, per 13 anni lasciato solo dai vertici del partito che aveva contribuito a fondare, si sono registrate soltanto “dichiarazioni di maniera”. Nessuno, nel Pd, ha pensato di rivalutare l’esperienza politico-amministrativa di Bassolino né di sostenerne la (ri)candidatura alla guida del Comune. Anzi, qualcuno l’ha definito «pezzo di storia del partito» con l’intento non di riconoscerne il decennale impegno politico, ma di relegarlo in soffitta tra i “vecchi arnesi” del partito. Altri hanno addirittura tentato di scoraggiarne il ritorno in campo sottolineando come la sua età non sia più verde, visto che tra dieci giorni compirà 74 anni. Eppure Lula ha due anni in più rispetto all’ex presidente della Campania e, senza andare troppo lontano, appartiene alla classe 1947 anche l’attuale premier Mario Draghi, leader di un governo sostenuto anche dal Pd.

Qualcuno si chiederà: che senso ha evidenziare il doppiopesismo deli dem nei confronti di due personaggi così simili e, nello stesso tempo, così diversi come Lula e Bassolino? L’intento non è quello di santificare l’uno o l’altro, bensì quello di ricordare come il garantismo non possa essere praticato a fasi alterne o, peggio ancora, subordinato alla convenienza del momento. La sensazione è che Bassolino, a differenza di quanto accaduto per Lula, sia stato lasciato solo quando travolto dalle inchieste giudiziarie allo scopo di rottamare la vecchia classe dirigente del Pd e che adesso venga ignorato per fare spazio a nomi nuovi che, tuttavia, i vertici dem non sono stati ancora in grado di esprimere. In entrambi i casi emerge una concezione variabile del garantismo, applicato saltuariamente e ad personam. Quel valore, però dovrebbe essere invariabile, quasi una stella polare per il Pd. Che, nella fase di rifondazione che lo attende, dovrà necessariamente tenerne conto per recuperare un minimo di credibilità.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.