L'emorragia grillina
Manovre da prima Repubblica, solo Casini può salvare gli espulsi 5 Stelle…
L’espulsione dei deputati e senatori che non hanno votato la fiducia al governo Draghi dei gruppi parlamentari del M5S ha sollevato, oltre alle inevitabili e interessanti polemiche politiche, alcune questioni giuridiche: tali espulsioni sono legittime? Si può ricorrere contro di esse? E a chi?
Cominciamo col dire che un gruppo politico ha tutto il diritto di espellere un proprio membro quando il dissenso rispetto alle sue direttive è reiterato e/o grave, come in occasione delle votazioni sulla fiducia al Governo. Non a caso secondo l’art. 94 Cost. queste devono essere palesi, così da responsabilizzare il parlamentare verso il gruppo e gli elettori del corrispondente partito. Al pari delle altre associazioni, il gruppo parlamentare è tale se vi è una linea politica condivisa. Rispetto ad essa il dissenso, se da un lato può certamente arricchire il dibattito parlamentare (e difatti una quota di tempo è ad esso riservata), dall’altro può essere ammesso dal gruppo fintantoché non ne infrange l’unità di azione politica. Nessuna lesione, pertanto, della libertà di mandato del parlamentare (art. 67 Cost.), il quale non ha diritto a rimanere in un gruppo di cui non condivide le scelte politiche fondamentali. E il voto di fiducia al Governo è certamente una di queste.
Il punto è che, nel loro (un po’ illusorio) tentativo di regolamentare dettagliatamente tali espulsioni, il M5S si è infilato in un ginepraio di regole procedurali che poi per ragioni politiche non ha voluto rispettare, frutto dell’irrisolto equivoco se anche in tale materia “uno vale uno” o “uno vale per tutti”. E così ha ancora una volta buon gioco l’avvocato Borrè, ormai specialista in materia, nell’evidenziare che gruppo e partito sono entità giuridiche distinte, per cui l’espulsione dal primo non si traduce automaticamente in quella dal secondo; che le espulsioni dal partito sono state firmate dal capo politico reggente il giorno dopo (18 febbraio) in cui sulla mitica piattaforma Rousseau è stato deciso di affidare la guida del Movimento ad un Comitato direttivo, composto da cinque membri ancora da eleggere; e che, pertanto, in assenza di tale indicazione (ma, aggiungo io, può un soggetto esterno al gruppo decidere sulla espulsione dei suoi componenti?), l’espulsione deve essere ancora “ratificata da una votazione on line sul portale del M5S tra tutti gli iscritti, a maggioranza dei votanti” (art. 21.4 reg. gruppo); peraltro, in quest’ultimo caso, con la fantastica conseguenza, alla luce di quanto detto in apertura, che in caso di bocciatura i vertici del gruppo sarebbero costretti a riammettere quanti hanno votato contro le loro direttive: un autentico guazzabuglio!
Se anche ne ricorressero gli estremi, comunque mancherebbe con tutta probabilità un giudice cui appellarsi. La Cassazione (s.u. civ. 6458/2020), infatti, pronunciandosi sul ricorso presentato dal sen. De Falco a seguito della sua espulsione dal gruppo, si è dichiarata non competente a giudicare sulla legittimità di simili provvedimenti, ritenendo i gruppi parlamentari organi delle camere sottratti alla sua giurisdizione. Piuttosto, simili controversie secondo la Cassazione potrebbero sottoporsi agli organi giurisdizionali interni delle Camere i quali, in forza della loro autodichia, si sono finora pronunciati sulle controversie riguardanti i dipendenti delle rispettive amministrazioni. Tutto quindi lascia presumere che anche tali organi si dichiareranno incompetenti, con la conseguenza i parlamentari espulsi non avranno un giudice a Berlino cui rivolgersi per sottoporre quantomeno le irregolarità procedurali commesse a loro danno.
Costoro quindi dovranno verosimilmente entrare a far parte del gruppo misto, con conseguente perdita di forza e visibilità politica. Per rimediare a tale situazione – e vengo all’ultimo risvolto della vicenda – si ipotizza in questi giorni la costituzione al Senato di un gruppo parlamentare utilizzando il simbolo di Italia dei Valori. Mentre, infatti, alla Camera per costituire un gruppo bastano venti deputati, al Senato, oltreché tale requisito numerico (dieci senatori), ne occorre uno politico e cioè la corrispondenza tra gruppi parlamentari e partiti politici presentatisi alle ultime elezioni politiche conseguendo l’elezione di senatori. Questo è esattamente il caso di Italia dei valori che – come il Psi di Nencini con Italia Insieme Europa – si è presentato con il proprio simbolo con altre quattro forze politiche all’interno del contrassegno elettorale di Civica Popolare Lorenzin. E come Italia Viva si è potuta costituire in gruppo grazie al simbolo Psi, i senatori espulsi del M5S potrebbero utilizzare il simbolo dell’Idv.
Anche su queste colonne ho espresso tutte le mie perplessità per una interpretazione del dettato regolamentare che incentiva tale certo non commendevole mercato dei simboli elettorali che di fatto vanifica la ratio della riforma regolamentare del Senato. Ma c’è un punto politico-regolamentare che mi pare dirimente. Per potersi formare, tale nuovo gruppo ha bisogno dell’adesione dell’unico eletto della lista Civica Popolare Lorenzin e che questi si dichiari appartenente ad Italia dei Valori. È questo senatore, come Nencini per il gruppo Psi-Italia Viva, che ha per così dire, le chiavi di casa del gruppo.
Il suo nome è Pierferdinando Casini, eletto con il simbolo Civica Popolare Lorenzin nel collegio uninominale di Bologna. La domanda finale allora è: per quanto le nemesi storiche siano perfide, voi ce lo vedete Casini che aderisce ad Italia dei Valori e si allea con gli ex M5S o, se volete, costoro che si alleano con Casini? Io no.
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