Arrivavano da tutto il mondo. Dall’Italia, dall’Argentina, dall’Europa, anche da Napoli – i pochi che non lo conoscevano. Arrivavano a piazzetta Nilo, anche Largo Corpo di Napoli, nel centro della città, dove c’è il Bar Nilo. Il nome, di per sé, dice poco: è il bar dove sono custoditi i capelli di Diego Armando Maradona. Un altarino nato come uno scherzo, che ha preso spunto dalle edicole votive tradizionali, quelle negli angoli del Centro Storico soprattutto, dedicate ai Santi e ai defunti. E che è diventata negli anni rappresentativa del culto di Maradona a Napoli. Una sorta di devozione pagana, com’è stata da sempre descritta.

L’uomo, l’eroe, il sogno argentino che a Napoli portò due Scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa UEFA, è morto il 25 novembre scorso. Aveva 60 anni. A portarlo via un arresto cardiocircolatorio. Soltanto lo scorso 11 novembre era stato dimesso dalla clinica Los Olivos, Buenos Aires, dove era stato ricoverato e operato al cervello. Un’operazione riuscita, avevano dichiarato i medici. Poi ieri, all’improvviso, la notizia che ha fatto il giro del mondo in pochi minuti. Partenope si è commossa all’istante.

Molti sono scesi in strada: soprattutto ai Quartieri Spagnoli, nei pressi dell’enorme murales realizzato nel 1990, dopo la vittoria del secondo Scudetto; e allo Stadio San Paolo, che sarà dedicato proprio a Maradona. Alcuni sono andati anche in Piazzetta Nilo. Ma Bruno Alcidi non se l’è sentita di scendere: è rimasto a casa, non ha aperto il bar, il tempio del “pelo de Dios”. Da quando si è diffusa la notizia l’hanno chiamato e scritto dall’Italia, dall’Argentina, da tutto il mondo. Ieri ha deciso di aprire, senza accendere la macchinetta del caffè: soltanto per chi volesse fare un omaggio presso l’altarino al Pibe de Oro.

LA STORIA – È l’11 febbraio del 1990. Il Napoli perde 3 a 0 a Milano contro il Milan. I rossoneri agganciano i partenopei in testa alla classifica. Una trasferta amara insomma, anche per Bruno Alcidi, grande tifoso del Napoli, che però al ritorno ha la fortuna di capitare sullo stesso volo di linea sul quale viaggia la squadra azzurra. Cerca, trova e non perde mai d’occhio Maradona: l’eroe, il mito. E quando l’areo atterra, la squadra – come da routine – viene fatta scendere per prima, poi il turno dei passeggeri, Alcidi passa vicino al sedile, al poggiatesta, dov’era seduto El Pibe de Oro e intravede una ciocca di capelli. Come un devoto, tira fuori le Marlboro, sfila il cellophane del pacchetto, e raccoglie la reliquia. “È nato tutto come uno scherzo, non pensavo potesse diventare così famoso e frequentato. Fatto sta che qui sono sempre arrivati da tutto il mondo”, confida Bruno Alcidi.

Che in questi giorni ha chiuso: ha scelto di non aprire, nonostante il dpcm permetta in zona Rossa l’apertura per la consegna a domicilio e per l’asporto fino alle 22:00. “Per me il caffè è una cosa seria: non esiste portarlo fuori, nella tazzina di plastica, non se ne parla – spiega – Per me, quando ho saputo della morte di Maradona, è stato come perdere un parente. Sono cresciuto con lui, abbiamo la stessa età. È stato un anno difficile. Il coronavirus, il lockdown, la crisi. Avevo pensato anche di chiudere, ma adesso capisco che il Bar deve continuare perché la gente deve continuare a omaggiare Maradona”, dice nell’intervista a Il Riformista mentre nel bar entrano, scattano foto, fanno qualche domanda e vanno via giornalisti, tifosi e curiosi. Continueranno ad arrivare: dall’Italia, dall’Argentina, da tutto il mondo, a piazzetta Nilo, per il capello del Pibe de Oro.

Redazione

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