L’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla settimana sociale dei cattolici a Trieste ha contribuito a riaprire il dibattito sulla presenza politica dei cattolici nella vita pubblica italiana. Certo, il discorso del capo dello Stato ha affrontato il delicato tema della difesa della qualità della democrazia legato all’importanza della partecipazione attiva dei cittadini alla vita delle istituzioni. Ma è indubbio che i suoi richiami, le sue riflessioni e le sue precise e ricche argomentazioni sono, e restano, al centro del dibattito che caratterizza anche l’area cattolica italiana. Un’area, quella cattolica, molto articolata e variegata al suo interno.

Historia dolorum

Dove il capitolo del pluralismo politico è un dato ormai storicamente acquisito e consolidato. Ma è altrettanto indubbio che il ruolo dei cattolici nella politica del nostro paese continua ad essere una sorta di “historia dolorum”, per dirla con una celebre espressione del grande storico cattolico Pietro Scoppola. E questo perché dopo la fine della Democrazia cristiana e il tramonto dei piccoli partiti che sono succeduti alla Dc nel corso degli anni, il ruolo dei cattolici nella politica italiana si è fortemente appannato pur essendoci qualificate personalità in alcuni partiti che provengono dalla tradizione, dal pensiero e dalla cultura del cattolicesimo politico. Ora, però, la scommessa politica, e culturale, è sostanzialmente una. E cioè, o i cattolici italiani – seppur nel pieno riconoscimento del pluralismo delle varie opzioni e rispettando una vera e non finta laicità dell’azione politica – sono in grado di rideclinare concretamente la tradizione, il pensiero e i valori del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nelle dinamiche della politica contemporanea oppure ci si limita a giocare un ruolo puramente testimoniale se non addirittura impolitico.

Il passaggio storico

Il nodo non è quello di regalare una manciata di seggi parlamentari ai cosiddetti “professionisti cattolici” nelle varie liste a conferma della natura plurale di quel determinato partito. Semmai, e al contrario, si tratta di capire e di verificare come quella cultura – attraverso i suoi esponenti – riesce a condizionare e a pesare nella costruzione del progetto politico del rispettivo partito. Un esempio concreto? È persin troppo facile da fare. Il Pd è nato nel lontano 2007 come un laboratorio politico grazie all’apporto decisivo di un pezzo della tradizione democristiana – quello della ex sinistra Dc – insieme alla tradizione e alla cultura ex e post comunista. Dopo molti anni, e nello specifico con la segreteria Schlein, i Popolari che sono rimasti in quel partito si sono ridotti a rivendicare un posto nell’organo della segreteria nazionale per confermare che ci sono anche i cattolici nel principale partito della sinistra italiana. Ogni commento, al riguardo, sarebbe puramente inutile nonché imbarazzante. Ma lo stesso discorso vale, come ovvio, anche per altri partiti. Pochi, per la verità.

Ecco perché, oggi, la vera sfida resta quella di organizzare una presenza che si riconosce in quella tradizione ideale nei rispettivi partiti e contribuire, con altre culture, a costruire i singoli progetti politici e di governo. Ben sapendo che questo è l’unico modo concreto per continuare ad essere fedeli ad una storia che ha visto uomini e donne – molti dei quali sono stati autentici leader politici e statisti – contribuire in modo decisivo e determinante a costruire e a consolidare la democrazia nel nostro paese. Sarebbe ingeneroso, nonché irresponsabile, rinnegare quel patrimonio per limitarsi nella società contemporanea a declinare una presenza puramente testimoniale o del tutto ininfluente nella cittadella politica italiana. E questo perché, come ci insegnava negli anni ‘80 a noi giovani della ‘sinistra sociale’ della Dc il suo leader nazionale Carlo Donat-Cattin, “pensiero ed azione non possono mai disgiungersi. E i cattolici popolari e sociali hanno il dovere, e il compito, di testimoniarlo ogni giorno nella vita pubblica e nella società”. E, per coerenza e fedeltà alla nostra storia, quel dovere e quel compito li dobbiamo inverare anche e soprattutto nella società contemporanea. Perché, come diceva Aldo Moro, “bisogna vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà”.