Il centro e la “politica di centro” nel nostro paese sono storicamente coincisi, anche e soprattutto, con la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana. Così è stato per lunghi 50 anni con la Democrazia Cristiana e anche dopo la fine della DC con i partiti che, comunque sia, si ispiravano – seppur con modalità e criteri diversi – al patrimonio culturale e politico del partito dei cattolici italiani. Certo, nel centro politico del nostro paese convergono anche altre correnti di pensiero e altre tradizioni culturali. Da quella liberal-democratica a quella repubblicana, da quella socialista a quella laicista. Ma è indubbio, e pur senza tracciare primogeniture e classifiche irrituali e anacronistiche, che la cultura e il pensiero cattolico-democratico, cattolico-popolare e cattolico-sociale sono stati determinanti nella costruzione di un progetto politico e di governo centrista, riformista e democratico nel nostro paese. Con alterne vicende e con alterne fortune.

Ora, per restare all’oggi, è altrettanto indubbio che qualunque operazione centrista – sempre più necessaria e indispensabile per ridare qualità alla nostra democrazia ed efficacia alla stessa azione di governo – non può prescindere dall’apporto concreto, e laico, dei cattolici popolari e sociali. Una esperienza che in questi anni, dopo l’archiviazione del Ppi, della Margherita e dell’Udc, semplicemente si è dispersa e frantumata ulteriormente diventando una presenza del tutto ornamentale e ininfluente nei rispettivi partiti di appartenenza. Basti pensare alla concreta esperienza del Pd, partito che è nato anche e soprattutto grazie al contributo dei cattolici popolari, per arrivare alla conclusione che quella presenza si è progressivamente ridotta a una mera suppellettile da esibire nei momenti ufficiali – congressi, organigrammi di partito, candidature nei vari livelli istituzionali e ruoli di potere nel sottogoverno – per confermare la natura plurale del partito. Riflessione analoga, ma forse con meno enfasi, si può fare per altri partiti che si dichiarano di centro e riformisti.

Ma per poter rideclinare con forza, coerenza e convinzione la presenza dei cattolici popolari e sociali nella politica contemporanea – e quindi in un partito centrista – sono indispensabili almeno due condizioni. Innanzitutto non lo si può fare nei partiti personali che sono, e restano, alternativi rispetto a chi crede nella democrazia dei partiti e nei partiti, nella pluralità interna ai partiti e, soprattutto, nella costruzione collegiale del progetto politico e di governo. In secondo luogo questa presenza politica ha un senso, e anche una funzione specifica, nei partiti che non sono politicamente e culturalmente ostili al centro e alla “politica di centro”, per dirla con una bella espressione del passato di Guido Bodrato, uno degli ultimi “maestri” del cattolicesimo democratico italiano. Per fare un esempio concreto, credo sia difficile costruire un progetto e una cultura centrista in un agglomerato che vede la presenza di una sinistra radicale e massimalista come quella di Schlein, una sinistra estremista e fondamentalista come quella di Fratoianni, Bonelli, Salis e una sinistra populista e demagogica come quella di Conte.

La “politica di centro”, cioè, non può essere una sotto categoria da inserire nel pallottoliere ma priva di qualsiasi valenza e, soprattutto, di qualunque ruolo nella definizione del progetto della coalizione. Ecco perché il centro, la “politica di centro”, un progetto riformista e di governo non possono prescindere dal contributo dei cattolici popolari e sociali. Ma non possono, al contempo, essere presenti a prescindere da tutto. Conta il profilo del partito e, a maggior ragione, conta la cornice politica della coalizione o dell’alleanza che si vuol costruire e presentare agli elettori. La logica della sommatoria e del pallottoliere non è sempre compatibile con le ragioni della politica e della sua coerenza.