Il risultato delle elezioni europee ci consegna alcuni dati oggettivi. Tra questi, è inutile negarlo, c’è il fallimento politico clamoroso, ed irreversibile, di chi pensava di ricostruire un Centro politico partendo dai loro progetti e dai loro esperimenti elettorali. Parlo della lista di Renzi e dei radicali con la “lista di scopo” Stati Uniti d’Europa e della lista Azione di Carlo Calenda. Si tratta di un fallimento che segna anche, forse, il tramonto definitivo di una ipotesi centrista che partiva dal ruolo decisivo di quei due leader politici da un lato e, dall’altro, da una maldestra e dubbia equidistanza dagli schieramenti maggioritari. E questo anche perché la politica non può sempre e solo ridursi a fatti personali, a scontri pregiudiziali e a beghe da cortile. Come, purtroppo, è concretamente capitato nel cosiddetto campo centrista in questi ultimi due anni.

Ora, è di tutta evidenza che ci troviamo di fronte a due fatti politici inoppugnabili ed oggettivi. Sul fronte del centro destra, il massiccio consolidamento del ruolo di Giorgia Meloni e del suo partito, Fratelli d’Italia. E accanto a questo risultato, la crescita lenta ma progressiva di Forza Italia che ormai sta diventando un classico e moderno partito di centro. Un partito che, paradossalmente, proprio dopo la scomparsa di Berlusconi e con la leadership di Tajani, di Moratti e di molti altri esponenti, sta assumendo un profilo sempre più moderato, liberale e popolare. Sul versante della sinistra il risultato è altrettanto chiaro. La leadership di Elly Schlein si è ulteriormente rafforzata e, lo possiamo dire tranquillamente, anche consolidata. Un partito espressione di una sinistra radicale, massimalista e libertaria che, non a caso, ritrova una perfetta convergenza valoriale, politica e programmatica con l’estremismo di Fratoianni e Bonelli e il populismo anti politico e demagogico dei 5 stelle. Un blocco sociale e un agglomerato politico che si sono ulteriormente rafforzati – come emerge in modo persin plateale dal voto europeo – e che si pongono come vera alternativa politica all’attuale maggioranza di governo.

E poi, appunto, c’è il risultato di Calenda da un lato e di Renzi e dei radicali dall’altro. Di fronte a questo risultato, del tutto fallimentare, si può fare una sola considerazione. E senza alcuna polemica politica e men che meno personale. Non nasce più da quelle due forze, perennemente litigiose e che hanno disperso uno straordinario patrimonio politico ed elettorale decollato con il voto delle elezioni politiche del 2022, un progetto di ricostruzione di un Centro politico, credibile, plurale e riformista. Non nasce più da due inappellabili fallimenti elettorali un rinnovato progetto politico. Mi pare, questo, un fatto sufficientemente oggettivo per essere ancora messo in discussione.

Semmai, e questo resta il vero tema in discussione, si tratta di ricostruire e, soprattutto, di rafforzare una “politica di centro” ma dove, però, questo Centro esiste realmente. Senza rincorrere illusioni o limitarsi a riproporre esprimenti che partono già sconfitti. Sarebbe, del resto, francamente singolare pensare di ritessere una “politica di centro” in una coalizione politicamente dominata da Schlein, il trio Bonelli-Fratoianni-Salis e il populismo grillino di Conte. Probabilmente, per chi continua ad avere ancora a cuore la tradizione, la cultura, la prassi e il pensiero centrista, sa qual è la strada che non si può più percorrere. Né, d’altro canto, si può pensare di rafforzare un progetto e una posizione ritirandosi dall’agone politico contemporaneo. La dimensione testimoniale non rientra nella categoria della progettualità politica. E non vale neanche per il progetto del Centro. Ed è proprio da questo voto che emergono alcune dinamiche concrete da cui non possiamo più prescindere. Anche per chi, come noi cattolici popolari e sociali, storicamente ci riconosciamo in quel campo politico, culturale, sociale e valoriale.