Rewind. Per avere la contezza profonda del vero valore del risultato del Pd alle elezioni europee bisogna riavvolgere il nastro della cronaca politica e tornare indietro al 12 marzo del 2023. La segretaria Elly Schlein interviene all’assemblea del Pd in corso al Centro congressi La Nuvola, a Roma. In quell’occasione la deputata italo-svizzera-statunitense viene proclamata ufficialmente leader, a quindici giorni dalle primarie che l’hanno vista prevalere, a sorpresa, contro il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. È lì che Schlein vuole imprimere il marchio alla sua segreteria.

Una botta di discontinuità rispetto a un certo consociativismo del passato. Ed ecco la frase incriminata, che a rileggerla oggi sembra di un’altra era geologica. “Non vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari. Su questo dovremo lavorare tanto insieme, ne va della credibilità del Pd, su cui non sono disposta a cedere di un millimetro”, va all’attacco la neo-segretaria. Annuncia una rivoluzione interna. Mette nel mirino molti amministratori storici del Partito, additandoli come responsabili dei mali che si annidano al Nazareno. Schlein vuole rompere con una tradizione, che lei evidentemente giudica come negativa. Letta la frase sui “cacicchi”, beffarda, andiamo adesso ad analizzare a fondo i risultati del Pd nella prima competizione elettorale della segreteria-Schlein. Quella che era contro i “capibastone” e i portatori di voti.

Ciò che emerge è una sconfessione totale della missione di cui la leader si era auto investita. Un fallimento delle istanze che avrebbe dovuto portare avanti la segretaria. Un’inversione a U rispetto al mandato affidatole da una parte consistente degli elettori dem che l’avevano sostenuta alle primarie contro Bonaccini. Può sembrare strano suonare questo de profundis di fronte all’ottimo risultato ottenuto dal Pd. Un 24% che ribalta molte previsioni negative dei mesi scorsi. Infatti va così: il Partito vince, Schlein perde. I “cacicchi” tirano le liste. Gli schleiniani, a parte qualche eccezione, arrancano. La geografia del Pd che esce dalle urne di sabato e domenica vede una leader ridimensionata. Che da oggi sarà costretta a inseguire le correnti. A scendere a patti con i “cacicchi”. Ad accontentare le richieste dei “capibastone”. Gattopardesca, più che rivoluzionaria. Cambia tutto, ma non cambia nulla. Nel viaggio tra le preferenze è inevitabile partire dal collegio dell’Italia meridionale. Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise e Abruzzo.

Colpisce subito un dato, inedito. Il Pd è il primo partito al Sud. Batte i Cinque Stelle del reddito di cittadinanza e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni detta “Giorgia”. Stacca la Lega di Roberto Vannacci. Nel Mezzogiorno Schlein è prima al 24,32%. Alla faccia dei “cacicchi”, si direbbe. Invece no. L’exploit è quasi tutto frutto delle preferenze di Antonio Decaro. Sindaco di Bari per due legislature, sostenuto da uno di quelli che la segretaria chiamerebbe “capobastone”, ovvero il governatore pugliese Michele Emiliano, di cui Decaro è stato assessore al Comune di Bari. Ebbene, l’ex sindaco del capoluogo pugliese scosso dalle inchieste giudiziarie è il candidato dem più votato in assoluto. Raccoglie poco meno dei voti complessivi di Vannacci. Ecco i numeri. Decaro prende 496mila voti, di cui 350mila nella sola Puglia. Una presenza capillare sul territorio da vero “cacicco”, direbbe Schlein. Doppia la capolista Lucia Annunziata a 240mila preferenze.

Va oltre il doppio dei consensi di Elly Schlein, candidata nelle Isole e al Centro (214mila). Al Sud si piazza terzo un altro campione di voti del territorio. Quel Lello Topo sostenuto anche dal “cacicco” per eccellenza: Vincenzo De Luca. Topo sbarca a Bruxelles e Strasburgo con più di 127mila preferenze. Va bene anche Pina Picierno, l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo che non ha mai disdegnato di marcare le distanze con alcune scelte di Schlein. Per lei 121mila voti. Picierno e Topo battono il giornalista Sandro Ruotolo, fedelissimo della segretaria, componente della segreteria nazionale, che raccoglie 112mila preferenze. L’ex sardina Jasmine Cristallo, anche lei voluta fortemente dalla leader, non viene eletta e si ferma a 34mila voti. Nel Mezzogiorno, dove il Pd sfonda, Schlein porta a Bruxelles soltanto un uomo vicinissimo a lei, Ruotolo.

Uno spartito più o meno simile è quello che hanno suonato gli elettori del Pd al Centro. Esclusa Schlein, il primo degli eletti è il sindaco uscente di Firenze Dario Nardella. Non certo un candidato della segretaria, che ottiene 102mila preferenze. In quota sinistra dem, ma piuttosto eccentrico rispetto al “tortellino magico” della leader è anche l’ex segretario Nicola Zingaretti (90mila). Staccato di soli duemila voti c’è l’ex primo cittadino di Pesaro Matteo Ricci. La sua candidatura ha fatto saltare molti equilibri, soprattutto nel Pd romano. Ricci, pedigree riformista, è stato sostenuto dal gran ciambellano della sinistra capitolina Goffredo Bettini. Con l’obiettivo, nemmeno troppo recondito, di creare una nuova corrente all’interno dell’ala più progressista del Partito Democratico. Una spina nel fianco della segretaria, dunque. Fallimentare l’esperienza dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Il giornalista pacifista, nel momento in cui scriviamo, è a quota 30mila voti e si sta giocando il seggio con la “riformista” Alessia Morani (alla fine riuscirà a spuntarla con poco più di 40mila voti, ndr).

In ogni caso, un risultato negativo per un candidato divisivo, fortemente voluto da Schlein nelle liste del Pd. Anche al Centro la segretaria dovrà accontentarsi di un solo fedelissimo, l’uscente Camilla Laureti, che comunque con 47mila preferenze viene staccata da Nardella, Zingaretti e Ricci. Tre esponenti con il profilo dell’amministratore locale. Così come Stefano Bonaccini, l’uomo che “tira” la lista del Pd al Nord Est con 389mila voti. Elette anche Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti, due tra le donne uscenti che Schlein voleva incastrare, in fase di composizione delle liste, con lo schema del “panino” e la candidatura della leader in tutte le circoscrizioni.

La responsabile ambiente del Pd Annalisa Corrado, romana paracadutata dai vertici nel collegio nordorientale, arriverà a Bruxelles soltanto se Alessandro Zan dovesse scegliere il seggio destinato al Nord Ovest. Lì si registra una delle poche eccezioni positive per Schlein. Cecilia Strada è prima con 283mila preferenze. Ma gli anti-Schlein dicono comunque la loro con l’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori (210mila) e con l’uscente Irene Tinagli (78mila). Nelle Isole Giuseppe Lupo, che al congresso sosteneva Bonaccini, è il secondo più votato dopo la segretaria e sarà l’unico eletto, con quasi 50mila preferenze.

Schlein festeggia e parla di “risultato straordinario”, ma la sua è già una vittoria di Pirro. La segretaria è un’anatra zoppa all’interno del partito. Ma non solo. Il flop dei Cinque Stelle rischia di vanificare un altro dei punti fondanti della linea-Schlein, ovvero l’alleanza organica con Giuseppe Conte. Il leader grillino apre all’alleanze ma il Movimento ribolle e alle amministrative il campo largo giallorosso è a macchia di leopardo. Insomma, il Pd prende molti voti ma la sua linea politica è un mistero. Nella delegazione di Bruxelles, per esempio sull’Ucraina, la farà da padrone il pacifismo di Strada o l’atlantismo di Picierno e Gori? E le alleanze. Si guarderà al M5s o al centro riformista? Al Nazareno parlano di unità di tutte le opposizioni al governo di Giorgia Meloni. Ma tutti sanno che si tratta di una chimera. E la minoranza interna sembra avere trovato un nuovo leader in Antonio Decaro. “Cacicco”.