Dopo l’intervista a Repubblica di Gentiloni, la conferenza stampa dell’ultimo dell’anno del presidente del Consiglio Conte, il durissimo intervento di Renzi al voto di fiducia al Senato, le prese di posizione di Salvini e della Meloni, è evidente che la situazione politica è del tutto negativa e si esprime in direzione ben diversa a quella auspicata dal presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso di fine anno.

Infatti Mattarella, di fronte alla pandemia e ai rischi di recessione, ha auspicato l’unità fra le forze politiche, un impegno costruttivo per il recovery fund e per la vaccinazione. Solo sulla vaccinazione c’è un impegno – nella sostanza un impegno positivo – fra tutti gli esponenti politici anche se pure su questo tema esprimono contraddizioni evidenti quando Salvini afferma: «Mi vaccinerò quando verrà il mio turno e lo farò se me lo consiglierà il mio medico», quindi anche su questo punto esattamente l’opposto di quello che ha proposto il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, Salvini e la Meloni hanno espresso un netto rifiuto anche all’ipotesi di un gesto comune secondo il modello Biden perché chiaramente vogliono attaccare il governo anche sul modo con cui sta gestendo i vaccini.

Salvini aggiunge un’altra raffinatezza perché con il riferimento ai suggerimenti del suo medico vuole strizzare l’occhio anche ai no vax. Per altro verso a parte la pandemia e conseguente a essa però è di grande rilievo la definizione di un progetto per il Recovery fund e le indicazioni delle procedure per la sua realizzazione. Ora, Gentiloni non è certamente Renzi, non deve giustificare l’esistenza di un partito, né è mosso da una particolare animosità nei confronti di Conte e tantomeno nei confronti della maggioranza, tuttavia Gentiloni a proposito del Recovery fund ha posto tre problemi grandi quanto una casa, facendo capire che le cose non stanno andando bene, né per quello che riguarda la progettazione, né per quello che riguarda le prospettive di esecuzione.

In primo luogo Gentiloni ha sottolineato l’esigenza della scelta e della definizione di progetti che siano funzionali alla qualità e alla quantità dello sviluppo della industria manifatturiera, alla politica ambientale, al rilancio e alla attuazione di grandi strutture, al decollo del digitale. Insomma, Gentiloni ha scartato nettamente che il progetto italiano si risolva in una accozzaglia di piani tirati fuori dagli archivi o dagli scantinati dei vari ministeri o che si risolva in un elenco di bonus in termini di spesa corrente per piccoli interessi di spezzoni dell’elettorato del Pd e del M5s.

In secondo luogo Gentiloni facendo riferimento alla nostra incapacità di spendere i fondi europei, ha posto il problema di trovare procedure straordinarie di spesa per evitare che di qui a qualche tempo l’Unione europea, facendo i conti sia con la qualità dei progetti sia con la inesistenza di meccanismi realizzativi, dichiari che tutte le risorse offerte sono annullate. Il terzo punto avanzato da Gentiloni è costituito dalla tenuta o meno della maggioranza. Infatti, le varie forze del’Unione europea sono esterrefatte di fronte al fatto che il sistema politico italiano stia entrando in crisi in una situazione nella quale non si trova più di fronte all’atteggiamento arcigno e sprezzante assunto dalle nazioni egemoni dell’Europa, Francia e Germania, nel 2011 di fronte a Berlusconi, ma adottando una linea espansiva che si fonda sulla proposta di ben quattro bocche di fuoco, su una delle quali -il Mes – il governo italiano è reticente e sulla altra delle quali – il Recovery fund- sta andando incontro a serie divisioni.

Da questo punto di vista poi la situazione della maggioranza di governo è del tutto paradossale. Nel merito, specie per quello che riguarda le sue proposte di stampo riformista sul Recovery fund, la sua richiesta di utilizzare il Mes, il suo invito perché Conte dismetta la sua posizione del tutto inquietante sui servizi, (basterebbe che indicasse una persona dotata di spessore e di sua fiducia, spessore cioè non il corrispettivo di Casalino e di Arcuri) Renzi ha perfettamente ragione solo che sta gestendo queste posizioni di merito con il taglio aggressivo di chi sembra volere a tutti i costi una crisi di governo che, se avvenisse, sarebbe del tutto al buio visto anche l’atteggiamento assunto da Conte che sul terreno della aggressività fa da pandent a quello di Renzi: visto che è stato più volte citato Moro, il Moro autentico a cui fa riferimento Conte sembra non essere quello della mediazione, ma un altro Moro, che pure c’è stato, il Moro dello scontro politico, il Moro dello scontro con i dorotei, o più esattamente il Moro che in occasione di uno scontro politico con il Psi di De Martino dichiarò: “Con i socialisti io non tratto, io i socialisti li sfido”.

La situazione a questo punto è però resa ancora più difficile dall’atteggiamento assunto dagli altri soggetti della maggioranza: i grillini sono scomparsi dai radar essendo del tutto appiattiti su Conte, compreso chi come Di Maio aveva mostrato di essere del tutto autonomo dall’avvocato del popolo e che in una recente lettera al Foglio aveva anche cercato di esprimere una posizione politico-programmatica di un qualche spessore. A sua volta il Pd non può non essere d’accordo con Renzi su alcuni punti della sua impostazione sul Recovery fund e sui servizi (anzi qualche maligno dice che il Pd aveva detto a Renzi “vai avanti che ti seguo”), solo che invece non dice nulla – piuttosto mormora – e quindi non emerge come terzo soggetto politico della maggioranza che casomai spiega a Conte e Renzi i punti sui quali può farsi la mediazione. No. Zingaretti striscia lungo i muri, mentre prega Conte di prendere in mano la situazione, di cambiare alcune cose, di essere lui a proporre la mediazione.

Solo che Conte si guarda bene dal mediare, Renzi per parte sua dice cose giuste nel modo più provocatorio possibile, il Pd tace e quindi in campo rimane solo la contrapposizione fra Conte e Renzi perché della mediazione del Pd non c’è traccia. Allora, se le cose rimangono così, tutto fa pensare che dopo altre schermaglie alle 5 della sera del 7 gennaio si andrà a una sorta di Ok Corral al Senato, dove se Conte ottiene la maggioranza a quel punto c’è un governo Conte a tutti gli effetti, con le sue proprie scelte programmatiche e di potere, e con il Pd e Leu come alleati subalterni. Se invece il governo va sotto esso cade con fortissime probabilità di un voto anticipato al quale si andrebbe per il lato del centrosinistra con uno schieramento di Pd- M5s guidato da Conte e per il destra-centro una coalizione guidata da Salvini. Situazione chiaramente paradossale che metterebbe il partito di maggior peso nel centrosinistra, cioè il Pd, in una condizione di incredibile subalternità politica nei confronti di Conte e di riflesso dei grillini. Ciò detto, vediamo il rovescio della medaglia per ciò che riguarda il centrodestra.

Anche a fronte di tutti i limiti del governo Conte, è evidente a quasi tutti, certamente anche a quella parte dell’establishment come la Cofindustria di Bonomi, che il presente e il futuro dell’Italia dipendono largamente dai suoi rapporti con le forze egemoni dell’Unione europea che si concentrano nella Germania, nella Francia e nei loro alleati. Ora, partendo da questa convinzione, qualche giorno fa Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, che vede il Pd come fumo negli occhi, ha auspicato che Salvini e la Meloni offrano una alternativa agganciandosi – magari a modo loro – con la parte della Unione europea che è decisiva per il presente e per il futuro della Italia: detto di passaggio l’Italia si troverebbe già oggi in una situazione difficilissima qualora la gentile presidente della Bce Lagarde non acquistasse miliardi e miliardi di Btp.

A questa sollecitazione di Panebianco non è che Salvini e la Meloni abbiano risposto in modo convincente. Da un lato Salvini, guardandosi bene dall’entrare nel merito dei problemi (ad esempio sul Mes) si è limitato a esporre le sue intenzioni di fare un viaggio per le capitali europee, dall’altro lato però in una sede qualificata qual è il Senato, ha espresso il suo entusiastico appoggio a un discorso del senatore Bagnai che ha esposto, con grande eloquenza, il parallelismo fra i comportamenti della Germania nazista e quelli della Germania guidata dalla Merkel: l’obiettivo è comune, impadronirsi completamente dell’Europa, i mezzi sono diversi, Hitler usava i carri armati, la Merkel usa l’euro e la finanza.

Per parte sua la Meloni ha risposto a Panebianco ribadendo che il corrispettivo della “perfida Albione”, denunciata dal governo italiano dell’epoca (fine anni Trenta, inizio anni Quaranta) sono adesso i perfidi franco-tedeschi e che anche nella sua qualità di presidente del gruppo conservatore Conservatori e Riformisti si propone la costruzione di una Europa confederata per nazioni alternativa a quella attuale con il che non è che proponga una prospettiva brillante, perché fra l’Austria, la Polonia, l’Ungheria, insomma i frugali e i sovranisti, vedono l’Europa del Sud e l’Italia come una area di scialacquatori e di gente che accetta passivamente l’arrivo di immigrati di tutti i tipi.

Rispetto a questi due interlocutori, per ciò che riguarda il centrodestra, è del tutto aperto quello che fa e farà Silvio Berlusconi: sinora egli ha oscillato malgrado che il duo Salvini-Meloni, peraltro in concorrenza fra di loro, gli hanno concesso molto poco sia sul terreno degli organigrammi (finora sono stati bocciati tutti i suoi candidati per le prossime comunali) sia sul terreno strategico perché le loro posizioni confliggono sia con quelle del Ppe sia con quelle moderate e liberali esistenti in Italia. Allora Berlusconi è di fronte a una scelta di fondo: Forza Italia non ha solo un glorioso passato, ma ha anche un presente e un futuro se decide di dar voce a tutti quegli italiani – e non sono pochi – che non si riconoscono nell’attuale governo ma neanche nel sovranismo e nell’antieuropeismo di Salvini, Bagnai e Borghi (una sorta di paradossale riproposizione da destra della trimurti ottocentesca costituita da Bakunin, Marx ed Engels) e dal populismo della Meloni, riconquistando così un ruolo politico del tutto autonomo.

Allora, allo stato, la situazione se non emergono novità politiche è senza sbocchi positivi. Essa può portare diritto o a una piena presa di potere di Conte e del suo sistema di alleanze o a elezioni anticipate giocate fra una posizione di centrosinistra sempre guidata da Conte e una di destra guidata da Salvini. Insomma l’alternativa sarebbe fra due modi diversi di affogare. Tutto ciò potrebbe essere evitato qualora da un lato il Pd, assorbendo la parte migliore della linea portata avanti da Renzi, e dall’altro lato Berlusconi ricominciassero a fare politica.

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