In sociologia, la “teoria dello stigma” descrive le situazioni nelle quali distinguiamo tra “noi” e “loro”, ovvero tra i normali e coloro che invece si discostano per qualche caratteristica negativa dai comportamenti che ci aspettiamo da loro. In finanza, lo stigma è quella condizione per cui uno Stato o un individuo che chiede prestiti o chiede un aiuto viene considerato in crisi o sull’orlo del fallimento e quindi la sua richiesta di aiuto diventa un elemento di ulteriore segnalazione di debolezza. Per cui, meglio non chiedere perché, non chiedendo, almeno ci si confonde con gli altri. In altri termini, se tu vai alla mensa della Caritas, dichiari che sei un fallito, e quindi poi non potrai avere alcun merito di credito come prima. Nel caso specifico della finanza pubblica e privata, chi chiede prestiti straordinari o da fondi speciali, evidentemente esplicita la sua condizione di debolezza. Fin qui la teoria.

«Non c’è nessun effetto stigma per i paesi che utilizzano il MES. Piuttosto, i mercati finanziari sono preoccupati dal fatto che non li utilizzano». Dall’inizio della crisi economica e finanziaria che ha investito l’Italia, abbiamo sempre sostenuto questa posizione, opponendoci strenuamente a quella “teoria dello stigma” avanzata dai sovranisti di casa nostra per giustificare la scelta del Governo di non ricorrere ai fondi messi in campo dall’istituzione lussemburghese per finanziare le spese sanitarie, dirette e indirette. Per l’Italia, lo ricordiamo, si tratta di una cifra pari a 37 miliardi di euro, disponibile da subito. La frase iniziale è virgolettata, però, perché non siamo stati noi a pronunciarla, questa volta, bensì Alain Durré, manager della banca d’affari americana Goldman Sachs, che in un incontro pubblico organizzato proprio dal MES con la Banca Centrale Europea, ha detto quelle testuali parole. Dichiarazione che è stata poi pubblicata ufficialmente sul sito istituzionale del MES.

Una frase, quella di Durré, pesantissima, che spazza via in un colpo solo la “teoria delle stigma”, appunto, dei sovranisti, soprattutto perché pronunciata ufficialmente dalla più potente banca d’affari mondiale, ovvero da chi fa il mercato. La frase può essere interpretata come una previsione fatta da Goldman Sachs sulle intenzioni d’acquisto dei grandi investitori sui titoli di Stato dei paesi dell’Eurozona per il prossimo futuro. Gli investitori, leggendo tra le righe quanto affermato da Durré, tenderanno ad acquistare i bond di quei paesi del Sud Europa che decideranno di finanziarsi con gli strumenti europei, MES compreso, e a vendere quelli di quei paesi del Sud Europa che decideranno di non farlo. Per molti mesi, i sovranisti di casa nostra hanno fatto credere agli italiani l’esatto contrario. Per quale motivo l’hanno fatto? Delle due l’una. O ignorano completamente come ragionano gli investitori internazionali, e quindi hanno commesso un grosso errore, oppure lo sapevano e hanno elaborato la “teoria dello stigma” solo per fare propaganda, sfruttando i timori degli italiani.

Nel secondo caso, una volta che la loro “teoria” è stata confutata dagli stessi attori di mercato, cosa faranno adesso, i nostri sovranisti? Se la prenderanno con i mercati, dopo essersela presa con l’Europa, sempre alla ricerca costante di un nemico straniero da combattere? Noi non sappiamo quale delle due opzioni è corretta. Siamo soltanto contenti di vedere che la pensiamo esattamente come chi fa il mercato e con le istituzioni europee. Anche perché, lo ripetiamo, il vero motivo per cui l’Italia dovrebbe accedere ai fondi del MES è esclusivamente di natura finanziaria, non politica. Prendere i prestiti del MES è conveniente in termini di minore “cost of funding”, come dimostrato ancora una volta proprio dal MES, che ha ribadito che il prestito sarebbe concesso all’Italia con un tasso d’interesse negativo, ovvero che il nostro Paese non solo non pagherebbe nessun interesse sullo stesso ma, in più, dovrebbe rimborsare meno di quanto ricevuto. Per tutti questi motivi, speriamo che il Governo, soprattutto la sua componente più europeista, si decida al più presto a portare la questione dei fondi MES in Parlamento, condivida con l’opposizione la scelta di attingere a tutti e 4 i pilastri messi in campo dall’Europa e attinga al più presto da quelli, prima che nel prossimo autunno si rischi davvero di avere tensioni economiche, sociali e di liquidità dovute proprio alla mancanza di risorse finanziarie.
Non è, infatti, solo il MES ad essere finanziariamente conveniente per l’Italia.

L’intero piano a quattro pilastri lo è. Cerchiamo di capire il perché. Innanzitutto, dell’intero pacchetto europeo, all’Italia sarebbero destinati circa 304 miliardi di euro, così suddivisi: 120 miliardi di loans dal NGUE; 87 miliardi di grants dal NGUE; 37 miliardi di loans dal MES; 20 miliardi di loans dal Fondo Sure; 40 miliardi dai fondi BEI. Il condizionale è d’obbligo, perché le cifre definitive per ogni paese non sono state ancora rese note dall’Europa e bisognerà necessariamente aspettare i regolamenti attuativi. In totale, all’Italia sarebbero destinati circa 87 miliardi di grants e 217 miliardi di loans. I loans sono evidentemente vantaggiosi, in quanto sarebbero tutti prestiti ad interessi pari a zero, o quasi. Ipotizzando e semplificando un po’ che siano tutti prestiti decennali, dalla comparazione con il costo di emissione dei BTP decennali, con un tasso medio presunto dell’1,5%, il Tesoro risparmierebbe circa 32 miliardi di euro in dieci anni. Sui grants, invece, è necessario fare una distinzione tra lordo e netto. Secondo le ultime stime dell’UBP, effettuate sulla base delle key rule stabilite dal Consiglio Europeo dello scorso 17 luglio, i grants lordi spettanti all’Italia ammonterebbero a 87 miliardi.

Arrivare alla componente netta, ovvero quella che si arriva dopo aver sottratto gli oneri che ricadono su ciascun Stato membro come contribuzione incrementale, non è facile, ma l’UBP ha stimato che questa potrebbe essere ragionevolmente pari a circa 41 miliardi, ai prezzi 2018 (87 miliardi lordi meno 41 di contribuzione, si arriva a 46 miliardi netti). 46 miliardi netti, dunque, di euro di trasferimenti a fondo perduto, ai quali aggiungere gli oltre 32 miliardi di euro risparmiati sugli interessi, grazie ai prestiti del piano europeo. Un totale di 78 miliardi di euro che rappresentano la reale convenienza per l’Italia nell’aderire al piano europeo per la ricostruzione e agli altri fondi disponibili. E non sono bruscolini.