“Mi scusi, presidente”, ecco il discorso di Scarpinato a Napolitano che non ascolterete mai:

Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli senatori.
Intervengo a titolo personale.
Nell’esercitare, oggi, queste funzioni così a lungo screditate da me, e dalla mia compagnia di giro, composta di brillanti giornalisti, conduttori tv, opinionisti, e vari ex colleghi magistrati, io rappresento la Nazione.
È giusto quindi che io mi scusi con essa.

Me lo impone il tante volte da me decantato principio di legalità: sulla trattativa Stato-Mafia abbiamo preso una cantonata, decretata tale da più e più magistrati.
Lo riconosco, e me ne scuso con i tanti italiani che abbiamo stordito, di cui abbiamo viziato convinzioni e consenso, piegando entrambi alle nostre autodecretate opinioni preconcette e ostili a qualunque cosa fosse da noi diversa, e proposte come dati di fatto.
Dopo aver, per anni, animato talk show da milioni di spettatori, prime pagine di quotidiani, financo spettacoli teatrali, e adombrato connivenze opache e deteriori, addebitandole qui e li a persone di cui oggi è invece certificata la rispettabilità che nemmeno andava messa in discussione, abbiamo sbagliato.

E, forse, mal rappresentato l’ordine cui mi fregio di essere appartenuto: la magistratura, che dovrebbe fare giustizia, non giustiziare, né scadere in un genere letterario-mediatico che allude e mai dimostra.
Tantomeno sacrificando vite, carriere, reputazioni, e lavoro sull’altare di suggestioni affrescate dalla stampa e mai provate in un’aula di tribunale (applausi scroscianti dai banchi del centrodestra, brusio su quelli del Pd, mentre Paola Taverna dalla tribuna rievoca il labiale di Roberto Baggio verso Sacchi che lo sostituisce in Italia-Norvegia a Usa ‘94).
A dimostrazione della mia onestà intellettuale, dico di più, onorevoli colleghi: il dubbio che alcuni di noi abbiano usato parte della stampa per sostenere inchieste deboli, acquisire notorietà, e capitalizzarla con un seggio comodo e ben pagato, è comprensibile.

Quante volte abbiamo sentito dire colleghi, forse persino me compreso: “Ma si figuri, a me la politica non interessa” se si domandava loro: “Ma non è che lei si candida in politica?”.
E però oggi sono qui, e le funzioni che ricopro mi impongono infine di sommare a questo tardivo ma sentito atto di contrito dolore, un pensiero di scuse a una persona, oltre che a Istituzione: il mio collega Senatore Giorgio Napolitano.
Il Presidente Emerito ha pagato sulla sua pelle i nostri errori.
Mi scusi, Presidente… (applausi scroscianti di tutto l’emiciclo, eccezion fatta per il M5S, che indossa una maglietta griffata: “E’ Stato -comunque- la mafia”).

Andrea Ruggieri

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