Accoglienza: il frutto dell’amicizia” è il titolo di uno dei primi incontri del Meeting. Il titolo evoca un legame che sembra indispensabile oggi che l’individualismo sta facendo il suo mestiere portando a ritenere poco utile l’esistenza di qualcun altro oltre a sé. Nel frattempo le esigenze aumentano: i migranti sono sempre di più, gli anziani soli raggiungeranno grandi numeri e le nuove generazioni sono sempre più fragili e prive di punti di riferimento. Occorre organizzare risposte strutturate facendo sì che le realtà sociali che si occupano di accoglienza possano svilupparsi e proporsi al meglio. Ne parliamo con due relatori dell’incontro citato, Silvio Cattarina, Presidente della Cooperativa Sociale L’Imprevisto, e Mons. Massimo Camisasca, Vescovo emerito di Reggio Emilia.

Cattarina, nella sua attività di recupero di ragazzi tossicodipendenti vive questa differenza tra un accogliere e il muoversi per un’amicizia?
Non è possibile, per nessuna persona, in nessun ambito di vita, accogliere un altro senza un minimo di coinvolgimento e di partecipazione. Nel campo educativo e sanitario è sempre più fondamentale poter e saper valutare la motivazione che spinge una persona ad intraprendere il compito educativo o assistenziale. Non si può pensare di poter aiutare persone fragili senza conoscere adeguatamente la ragione profonda che spinge ad aiutare e senza avere un minimo di cognizione circa il senso e il significato della sofferenza. Nelle nostre comunità de l’Imprevisto desideriamo accogliere i ragazzi a partire da una passione per la vita: ciò che ci muove è l’entusiasmo che ci viene dall’essere stati a nostra volta educati alla speranza. Ci anima il desiderio che con ogni ragazzo, davvero con ognuno, sia possibile ricominciare. Offrire l’amicizia ai nostri ragazzi vuol dire aiutarci insieme a cercare se c’è qualcosa di grande per cui vale la pena vivere.
Come lo Stato potrebbe valorizzare la vostra presenza?
Tutte le strutture del nostro tipo, nate dal basso in forza di tentativi, sono esempi bellissimi – oltremodo economici per lo Stato – per tutto il mondo. Alle persone in difficoltà occorre offrire non solo assistenzialismo e medicalizzazione, che rischiano di essere droga sotto mentite spoglie, ma soprattutto la possibilità di una riscossa e di una riabilitazione completa, grande, viva. Questa è la nostra iniziativa che non dovrebbe subire troppa burocrazia da parte dello Stato: è troppo impediente, scoraggiante e umiliante. Si dovrebbe invece trovare il modo di verificare, in tutto e per tutto, in profondità, la “produttività” dei servizi privati e dei servizi pubblici, valutare i risultati riguardanti le persone, il superamento della condizione di disagio e la “guarigione” per usare termini generici e sbrigativi, confrontando i risultati.

Mons. Camisasca, esagero se dico che oggi nel nostro Paese quello dell’accoglienza è uno dei problemi più urgenti che abbiamo?
L’accoglienza, prima ancora che un problema, è una dimensione fondamentale della persona umana. Vivere, infatti, è accogliere la vita di cui noi non siamo i produttori. Vivere è ricevere da altri e dall’Altro ciò che alimenta e fa crescere la nostra personalità. La serietà del problema deriva perciò dall’onda di ideologia individualista che sembra dominare tutto l’Occidente. In realtà non è così: se guardiamo attorno a noi e forse anche dentro di noi, vediamo delle spinte alla relazione che ci rendono felici. Non si è mai felici da soli, lo si è sempre nella condivisione. Occorre un’opera educativa che aiuti a riscoprire la bellezza della condivisione. Essa è anche la suprema imitazione dell’opera di Dio da parte dell’uomo.
Cos’è successo negli ultimi decenni che ci ha immerso in questa cultura individualista?
Le radici dell’individualismo sono molto lontane e risalgono a un malinteso istinto di conservazione. In realtà l’uomo non si salva chiudendosi in se stesso, ma donando agli altri i tesori che gli sono stati donati. Tutto ciò non contrasta con il diritto alla proprietà e l’amore a sé. Ne è lo scopo. Come ha detto Gesù: c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Quali speranze e compiti per i prossimi anni?
Credo nella vittoria finale del bene, ma non nell’inarrestabile progresso di esso nel tempo. La libertà dell’uomo può creare ostacoli o, al contrario, accedere ad una esperienza umanistica. Gran parte di queste scelte dipende dall’educazione e in ultima analisi dalla famiglia, dalla scuola, dalle comunità elettive.