Soffia un vento di sano pragmatismo in parte della sinistra europea, quella ancora capace di vincere le elezioni e tenere gli occhi ben aperti sui problemi che toccano molto concretamente i cittadini. E il tema dell’immigrazione è certamente al top della lista delle priorità. In questi giorni, una sorta di comunità di intenti e destini, ovviamente politici, lega curiosamente l’Inghilterra e l’Albania, accomunate in questi tempi dall’assenza di titubanza nell’usare il pugno duro proprio nei riguardi dell’immigrazione clandestina (che rappresenta l’emergenza numero uno per entrambi i Paesi). Evidentemente la scelta paga, in primis tra i nostri “vicini di casa” al di là dell’Adriatico: le ultime elezioni hanno confermato, con maggioranza bulgara, il premier uscente Edi Rama, quello degli accordi siglati con Meloni per ospitare sul proprio territorio un centro di rimpatrio per immigrati irregolari, seguiti in Italia da un fiume di polemiche. Evidentemente gli albanesi la pensano diversamente e lo hanno lasciato saldamente al suo posto per il quarto mandato consecutivo.

Situazione un po’ diversa per Keir Starmer. Il Labour ha scricchiolato alle ultime amministrative, anche in collegi dove alle precedenti elezioni aveva ottenuto una vittoria schiacciante. Tallonato dalla facile propaganda di Reform UK, il premier britannico si trova oggi a inseguire Farage proprio sul terreno a lui più favorevole e totalmente insidioso e inedito per i progressisti inglesi. Ma il malcontento serpeggia, i consensi gonfiano le vele della nuova destra britannica e bisogna correre ai ripari, mettendo da parte anche qualche mal di pancia. E così, sebbene ammantato dal formale “rispetto dei diritti”, finisce che la stretta decisa da Downing Street non si differenzi alla fine da posizioni che fino a ieri sarebbero state bollate come puro “razzismo” di destra.

In sostanza, il governo inglese ha optato per tempistiche più lunghe per l’ottenimento della cittadinanza, da cinque a dieci anni, e restrizioni ai visti per i lavoratori. Starmer è stato lapidario nelle ultime uscite. Chi non parla la lingua non si azzardi neppure a pensare di venire a vivere in Inghilterra: sentenza definitiva, fine del buonismo. E ha rincarato con tono grave: “Riprenderemo finalmente il controllo delle frontiere”. Parole degne di un leader nazionalista alla Orbán più che di un laburista classico. Ma il premier è spinto dalla necessità di garantire prima di tutto la sicurezza dei propri concittadini. Allo stesso tempo, è chiaro che non vuole concedere neanche un centimetro di terreno né a Farage né ai conservatori che avevano proposto misure praticamene fotocopia.

È anche vero, però, che la paura fa novanta e il campanello d’allarme della perdita di consenso non fa andare troppo per il sottile. Comunque il problema esiste, e la sinistra dovrebbe evitare che l’incremento dell’immigrazione irregolare si trasformi in una lotta tra poveri. Perciò dalle parti del Labour forse stanno iniziando a capire che a volte, oltre i sacrosanti princìpi, il buon senso non è né di destra né di sinistra. Che queste scelte poi paghino in cabina elettorale lo si vedrà. Per il momento, è certo che UK e Albania un risultato lo hanno ottenuto: far venire il mal di pancia ai compagni del socialismo europeo. Ma a volte, come si dice, servono scossoni per muoversi dal torpore. Il dado è tratto, e neppure gli altri Paesi europei potranno far finta di nulla a lungo.