Il processo di appello sull’omicidio di Marco Vannini deve essere rifatto: è quanto ha deciso ieri la prima sezione penale della Corte di Cassazione sul caso del giovane di venti anni ucciso da un colpo di pistola mentre si trovava in casa della fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli, nel maggio 2015. I giudici hanno disposto un nuovo processo d’appello per Antonio Ciontoli, principale imputato dell’omicidio, condannato in appello a cinque anni per omicidio colposo, per Maria Pezzillo, moglie di Ciontoli, e per i loro figli Federico e Martina, condannati a tre anni per omicidio colposo. Respinta dunque la richiesta dei difensori Andrea Miroli, Pietro Messina e Domenico Ciruzzi che puntavano a un ulteriore sconto di pena; i tre legali avevano chiesto per Ciontoli la colpa semplice, mentre per i familiari l’annullamento della sentenza e in subordine la riqualificazione giuridica del fatto da omicidio colposo ad omissione di soccorso, oppure favoreggiamento non punibile in quanto familiari.

I legali, nelle loro discussioni, avevano spiegato che per configurarsi il dolo eventuale non basta l’accettazione del rischio ma è richiesto qualcosa in più, ossia l’elemento della volontà. In particolare l’avvocato Ciruzzi si era soffermato anche sulle possibili conseguenze del processo mediatico andato in onda in questi anni che avrebbe potuto inficiare la serenità di giudizio degli ermellini. E il dubbio viene.

Proprio l’intervento dell’accusa era stato inizialmente interrotto dalla presidente che aveva stigmatizzato l’espressione della rappresentante della Procura generale, la quale guardando le persone in aula aveva detto: «Non vorrei deludere il pubblico», quasi dimenticando quanto detto qualche giorno fa proprio dal procuratore generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi, per cui i pm non devono cercare il consenso popolare.

Ora occorre aspettare le motivazioni della sentenza per capire che margine di azione avranno i nuovi giudici di Appello. Intanto possiamo raccontarvi che alla lettura del dispositivo sono stati numerosi gli applausi nell’aula e le urla dei parenti e degli amici dei Vannini contro i legali della difesa, come se la difesa si assimilasse al reato degli imputati che difendono. Ovviamente è da registrare la soddisfazione della famiglia di Marco Vannini: «abbiamo perso tante battaglie ma quella più importante l’abbiamo vinta», queste le prime parole di Valerio Vannini, papà di Marco. Una lunga, drammatica notte di quasi 5 anni fa, al centro di un caso giudiziario che ha suscitato finora dibattiti e polemiche: è quella tra il 17 e il 18 maggio 2015, quando Marco Vannini, 20 anni, muore dopo essere stato ferito da un colpo di pistola nella casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli.

Alle 23 del 17 maggio Marco era a casa Ciontoli e si sta facendo una doccia, è la ricostruzione emersa dalle indagini, entra in bagno Antonio Ciontoli, sottufficiale di Marina e padre di Martina, per prendere due pistole che aveva riposto in una scarpiera. Marco, secondo quanto raccontato da Ciontoli, si mostra interessato a queste e lui, per gioco, pensando che l’arma fosse scarica, fa esplodere un colpo, che ferisce Vannini a un braccio. Da lì, la famiglia ritarderà la chiamata ai soccorsi. Quando arriva al Gemelli ormai c’è poco da fare.