Mentre morivano c’era chi faceva festa
Morto dopo due settimane di agonia il bambino di Tzeela Gez, la donna uccisa da un terrorista palestinese mentre andava a partorire

Tzeela Gez non ha avuto tempo di essere madre di Ravid Haim, il figlio che le hanno estratto dal corpo ferito a morte per mano del terrorista che le ha sparato poche settimane fa mentre lei andava a partorire in un ospedale in Samaria, nel nord della cosiddetta West Bank. E lui, Ravid Haim, non ha avuto tempo di sapere che aveva una madre. È morto ieri, anche lui ucciso dalle ferite dell’assassino che in un colpo ha estinto due generazioni di una famiglia colpevole di essere ebrea.
La festa mentre mamma e figlio morivano
Né quella donna che non ha potuto essergli madre, né lui che non ha potuto esserle figlio, sapranno mai che mentre morivano c’era chi faceva festa, chi inneggiava al gesto “eroico” della belva che aveva sparato su quel corpo gravido, uccidendolo e uccidendone il frutto.
Ci sarà il padre, con gli altri della famiglia, a conservare la memoria che quella madre non ha avuto di suo figlio, e che quel figlio non ha potuto avere di sua madre. Avranno il resto della vita per ricordare i quattordici giorni in cui per due volte la vita se ne andava da loro, prima da quella madre che non sapeva di averla generata e poi da quel figlio che non sapeva di averla ricevuta.
Potranno trovare conforto, però, nel fatto che non c’è solo il brutto mondo che festeggiava sulla morte di Tzeela; c’è anche quello che non festeggiava allora e non festeggia oggi sulla morte di Ravid Haim, limitandosi a disinteressarsene.
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