Fino a ieri sera era ancora incerta la sorte del bambino che le hanno tirato fuori dal ventre. Lei, Tzeela Gez, la madre colpita da terroristi palestinesi proprio mentre andava a partorire in un ospedale in Samaria, nel nord della cosiddetta West Bank, non saprà se oggi questo suo figlio sarà sopravvissuto o no. Non saprà nemmeno altro, quella madre di cui i medici, che non sono riusciti a salvarla, dichiaravano la morte ieri mattina: non saprà che mentre moriva, e mentre il bambino era staccato dal suo corpo che diventava una cosa, i terroristi di Hamas salutavano il gesto “eroico” degli assassini che prendevano di mira e uccidevano una donna incinta.

Giusto qualche ora prima, durante una seduta della Camera dei deputati, Giorgia Meloni dichiarava che “non c’è spazio per una presenza di Hamas nel futuro della Striscia e in un futuro Stato palestinese”. C’entra qualcosa l’assassinio di quella partoriente, celebrato quale atto di “eroismo” da parte dei terroristi palestinesi, con quelle parole della presidente del Consiglio? Non c’entra qualcosa: c’entra tutto. Quantunque non proprio dichiarata, è tuttavia accettata l’idea che gli israeliani non debbano contrastare, e magari debbano pure accogliere di buona grazia, il pericolo che quello Stato sia affidato a chi lo userà per uccidere i loro bambini. È accettata l’idea che l’eradicazione delle ambizioni genocidiare di Hamas costituisca una faccenduola transigibile, qualcosa di sperabile e niente più. E tutto questo dimostra in modo esemplare quanto sia forte e diffuso il pregiudizio verso un popolo – il popolo di Israele – tenuto sistematicamente al livello più basso delle solidarietà internazionali.

Perché nessun Paese accetterebbe né riconoscerebbe il dirimpettaio che vuole distruggerlo e che alleva i propri figli indottrinandoli alla bellezza del martirio. E nessuno pretenderebbe quell’accettazione e quel riconoscimento da parte di un Paese che non fosse Israele.

Una solidarietà nemmeno unanime e molto precaria – diciamo di qualche oretta – si registrò in favore dello Stato ebraico il 7 ottobre del 2023. Ma non è per nulla acquisito, anzi è avversato, il convincimento che Israele abbia il diritto di esercitare la forza necessaria affinché qualcosa del genere non si ripeta. Non appartiene alla sensibilità comune il dovere di stare dalla parte di chi – pur commettendo, eventualmente, altri errori – è nel giusto e non commette proprio nessun errore quando pretende di non dover vivere accanto a quelli che cantano vittoria sulle bare di due bambini rapiti e strangolati o inneggiano agli “eroi” che ammazzano una donna gravida.