Il controsenso
La confusione della “Sinistra per Israele”: finire la guerra è la pace di Hamas, la reazione proporzionata era replicare il 7 ottobre?

Manifestare in Israele per “la fine della guerra” è già un mezzo controsenso se si considera che Israele non combatte una guerra che ha cominciato, ma una guerra che ha subìto. E, da mezzo, il controsenso diventa pieno considerando che l’istanza di pace dovrebbe essere rivolta a chi quella cosa, cioè la pace, non vuole: e non è davvero Israele a non volerla. Ecco perché lascia perplessi l’iniziativa che un nugolo di sigle – con l’adesione di “Sinistra per Israele” – annunciava per ieri e per oggi a Gerusalemme sotto l’insegna “Per fare la pace”. Si tratta, infatti, di intendersi: “finire la guerra” può significare tante cose. Finirla smettendo di farla a quello che, quando pure tu la finisci, te la fa ancora, non è la fine di un bel nulla: è la rinuncia al tuo diritto di difenderti, che è un’altra cosa. Non è la pace: è la pace del tuo nemico, e solo sua.
Quelli che pure, legittimamente, rimproverano a Israele di aver fatto troppo danno nella reazione ai massacri del 7 ottobre, sono stati a dir poco vaghi quando si è trattato di chiarire che tuttavia Israele ha ben diritto di fare la guerra a chi vuole distruggerlo. E sono stati anche peggio che vaghi quando si è trattato di chiarire che non solo ha diritto di fargli la guerra, ma ha diritto di vincerla. Indugiano, quei contestatori, sul “come” Israele ha esercitato quel diritto di difesa, ma in realtà è sul “se” di quel diritto, cioè sul fatto che Israele davvero ce l’abbia, che i portatori di quell’istanza di pace coltivano i propri dubbi. La verità è che, per loro, Israele non ha diritto di vincere la guerra contro quelli che vogliono distruggerlo perché a ben guardare non ha nemmeno il diritto di fargliela.
I numeri impressionanti dei morti nella guerra di Gaza – che quei manifestanti nemmeno per sogno mettono sul conto delle responsabilità di chi l’ha cominciata – solo formalmente sono adoperati per denunciare la presunta “sproporzione” della reazione israeliana. Quale doveva essere, per mantenersi “proporzionata”, la reazione? Israele doveva prendere casa per casa e giustiziare 1200 uomini, donne e bambini palestinesi e rapirne altri 250? Doveva prendere un po’ di ragazze palestinesi e finirle a coltellate dopo (o durante) lo stupro? Doveva deportare un lattante palestinese, strangolarlo e restituirlo in una bara, cantando vittoria, dopo un anno e mezzo?
La “sproporzione” che denunciano è un’altra. Per loro, in realtà, è “sproporzionato” che gli ebrei abbiano uno Stato, con un esercito a difenderlo. C’erano parecchi pacifisti tra gli ebrei trucidati il 7 ottobre. Non hanno avuto modo di reagire sproporzionatamente, grazie al cielo.
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