È inutile, a questo punto, spiegare che il “sionista” non è l’invasato che in nome della Bibbia sradica gli ulivi dei palestinesi. È inutile spiegare che il “sionismo” non è il movimento degli ebrei affamati di potere e di terra altrui che si sono impiantati in Palestina scacciando i presunti “nativi”.

Al tedesco che caricava gli ebrei sui vagoni piombati era inutile spiegare che quegli uomini, quelle donne e quei bambini non erano esseri inferiori, non erano i responsabili del male del mondo e non portavano malattie. Al nazista che miscelava i gas per sterminarli, che cavava i denti d’oro dalle loro bocche, che inoculava nei loro corpi parassiti malarici e bacilli della tubercolosi negli esperimenti per approntare virus a protezione della schiatta ariana, non serviva spiegare che quegli esseri umani non cospiravano per imporre sull’umanità il loro perfido dominio.

Quindi all’Italia magari non ancora maggioritaria, ma certamente non sparuta, la quale istiga alla discriminazione dei “sionisti” – cioè il 95% degli israeliani e la parte preponderante degli ebrei nel mondo – è perfettamente inutile spiegare che il sionismo non è stato altro che una difficile, disperata operazione di salvataggio degli ebrei cui il mondo intero aveva chiuso le porte in faccia mentre erano perseguitati. È inutile spiegare che quegli ebrei non erano ideologi che rivendicavano il suolo di Palestina agitando la Tōrāh: erano, letteralmente, dei rifugiati. Erano quelli che scappavano dai pogrom di Russia, di Lituania, di Ucraina e andavano laggiù perché non esisteva un altrove per loro. Perché altrove erano altri pogrom o frontiere chiuse.

Ma ormai è inutile spiegare tutto questo. Ormai “sionista” è il segno legittimato della condanna ebraica. E la comunità politica pressoché nel suo complesso, il sistema dell’informazione pressoché integralmente, se ancora non partecipano in modo diretto alla berlina del “sionista”, se ancora non promuovono esplicitamente la pratica che la patacca “sionista” prenda il posto della stella gialla sul bavero dell’ebreo, quantomeno lasciano che tutto questo accada senza far nulla.

Giusto dopo i massacri del 7 ottobre, a Roma, a pochi metri dal Ghetto rastrellato, una ragazzotta a capo di un corteo gridava “fuori i sionisti da Roma”. Giusto qualche mese fa un influente politico campano si spellava le mani nell’applaudire una militante antisemita infoiata nel gridare che “i sionisti vanno arrestati”. Giusto l’altro giorno, a Napoli, una turba solidarizzava con la ristoratrice antisemita e protestava contro il sindaco che aveva risarcito di attenzione e rispetto i “sionisti” che quella aveva molestato.

Faccia – chi può – attenzione. Faccia attenzione, chi ancora ritenga di non perdersi nell’abisso. Se domani qualcuno proponesse tali e quali le leggi razziali del 1938, con la sola cura di mettere al posto della parola “ebreo” la parola “sionista”, troverebbe ampie platee di ascolto. E chi rispondesse che non c’è da preoccuparsi perché una simile legge non c’è, e perché difficilmente ci sarebbe, bene farebbe a tenere a bada l’entusiasmo: perché la discriminazione del “sionista” che non è ancora nella legge, è già nelle strade, nei ristoranti, nelle scuole. È già nella consuetudine.