Esteri
Trump vola in Medio Oriente per un business da mille miliardi. Gli investimenti di Arabia Saudita, Emirati e Qatar e i negoziati sullo sfondo

Per Donald Trump, il Medio Oriente significa principalmente una cosa: affari. E soprattutto affari d’oro. Secondo il portale Axios, l’obiettivo del presidente degli Stati Uniti è quello di racimolare tra Riad, Doha e Abu Dhabi, accordi per mille miliardi di dollari. E l’obiettivo sembra realistico se si considera che insieme al capo della Casa Bianca nel Golfo saranno presenti i più importanti amministratori delegati e presidenti delle big tech americane. The Donald, del resto, è stato chiaro. Dall’Arabia Saudita si aspetta circa 600 miliardi di investimenti nei prossimi anni. Gli Emirati sono pronti a investire circa mille miliardi di dollari nei prossimi decenni. E il Qatar, che ha già deciso di regalare un nuovo Boeing al presidente Usa, ha mostrato molto chiaramente l’intenzione di trovare nuove intese con Washington.
La primo mossa
Tutto lascia credere che sia questo il vero scopo della missione araba del tycoon. Tuttavia, Trump arriva in Medio Oriente anche in un momento di forti tensioni, in cui la Casa Bianca sta gestendo due negoziati che stanno mettendo alla prova anche le buone relazioni tra Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ieri, a Gerusalemme, l’inviato Usa, Steve Witkoff, ha incontrato insieme all’ambasciatore statunitense Mike Huckabee, il capo del governo israeliano per discutere delle ultime novità sul fronte bilaterale e mediorientale. L’occasione è stata la liberazione dell’ostaggio israelo-americano Edan Alexander, che Hamas ha deciso di rilasciare ieri come segno di buona volontà nei negoziati. E Netanyahu, dopo il vertice con Witkoff, non solo ha parlato al telefono con Trump ringraziandolo per l’aiuto offerto per la liberazione di Alexander (che forse raggiungerà Trump in Qatar per un incontro), ma ha anche fatto una prima mossa distensiva inviando a Doha una delegazione per il negoziato sul cessate il fuoco e la liberazione dei rapiti.
La scelta di Trump
Per The Donald, la liberazione di Alexander (definita dallo stesso presidente Usa “un passo in buona fede verso gli Stati Uniti e gli sforzi dei mediatori – Qatar ed Egitto – per porre fine a questa guerra brutale”) è un segnale importante. Secondo la sua prima testimonianza, riporta l’emittente pubblica Kan, Alexander ha subito gravi torture ed è stato tenuto ammanettato in una gabbia per un lungo periodo di tempo.
Rapito il 7 ottobre 2023, sarebbe stato interrogato per settimane e trattenuto in un tunnel di Hamas nella Striscia di Gaza meridionale insieme ad altri ostaggi. In molti hanno visto con sospetto la scelta di Trump di non fermarsi in Israele dopo il tour tra le monarchie del Golfo. Durante il primo mandato, quando scelse Riad come meta per la sua prima visita di Stato, the Donald volò in Israele incontrando i leader dello Stato ebraico e in Cisgiordania, a Betlemme, dove venne ricevuto dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen.
La vicinanza a Israele
Negli anni, il tycoon ha sempre manifestato piena vicinanza a Israele e al governo di Netanyahu, con mosse anche di rottura rispetto alla tradizionale diplomazia Usa. Ma in questo secondo mandato, Trump sembra volere prima di tutto sedare il focolaio di Gaza e frenare ogni possibile escalation con l’Iran. E questi due obiettivi non sembrano essere perseguiti allo stesso modo dai due governi. “Bibi” e il suo entourage vogliono la fine di qualsiasi programma nucleare di Teheran e hanno già predisposto i piani per un attacco che smantelli i siti strategici degli ayatollah. Trump però ha negato il sostegno Usa e anzi, proprio durante l’incontro con Netanyahu alla Casa Bianca, ha annunciato la ripresa dei negoziati con l’Iran.
Lo scopo di Trump
Negoziati che hanno avuto il loro ultimo round di colloqui la scorsa domenica in Oman, e che per Trump sono importanti specie se messi in parallelo con il cessate il fuoco tra India e Pakistan, di cui The Donald si è detto “orgoglioso” per avere evitato un conflitto nucleare. Mentre sul fronte di Gaza, Trump ha fatto capire di non essere soddisfatto della nuova operazione militare dell’esercito israeliano nella Striscia e vorrebbe cercare di arrivare il più velocemente possibile a una tregua che comporti la liberazione degli ostaggi, il ritorno degli aiuti e un’idea di futuro governo per l’exclave palestinese. E forse, lo scopo del presidente Usa è anche quello di far ripartire l’allargamento degli Accordi di Abramo. Una strada che passa necessariamente per la fine della guerra tra Israele e Hamas.
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