L'intervista
Bartoli: “La pace non è solo un accordo tra potenti. Per disarmo serve politica”

Conversazione con il Presidente della Sant’Egidio Foundation for Peace and Dialogue e Rappresentante della Comunità di Sant’Egidio presso le Nazioni Unite
Papa Leone XIV ha vissuto 20 anni in Perù e preso la cittadinanza peruviana. È rilevante per la scelta del conclave?
«Sì, il nuovo Papa ha vissuto con i poveri come vescovo di Chiclayo e in piazza ha citato Sant’Agostino: Con voi sono cristiano, per voi sono Vescovo. Il vescovo è un servo, soprattutto dei poveri. Il vescovo è il custode del gregge e della fede. nel 2023 Papa Francesco lo ha scelto per la selezione dei nuovi vescovi».
Come tradurrà in pratica il messaggio sulla pace disarmata e disarmante?
«L’espressione pace disarmata e disarmante è bellissima e subito capita dalla gente comune. La pace non è solo un accordo tra potenti. Il Papa sa che per un vero disarmo Trust and verify servono politica e diplomazia. Il Papa può contare su una rete diplomatica antica ed esperta che ricorda alle potenze che il disarmo è vantaggioso per loro stesse, e ricorda gli accordi tra Reagan e Gorbačëv con la distruzione di migliaia di bombe atomiche. La UE é il frutto della cooperazione nata dopo due guerre mondiali e le tante guerre che per secoli hanno diviso l’Europa».
Come si unisce la track diplomacy di Sant’Egidio diplomazia della Santa Sede?
«La chiesa è espressione globale della diplomazia multilivello perché vive tra la gente e parla le lingue locali: sintesi senza uguali tra dimensione locale e globale. La chiesa lavora dal livello di base delle parrocchie sino ai Capi di Stato. La Comunità di Sant’Egidio è un esempio di come la mediazione dei conflitti non si realizzi solo ad un livello. Un vescovo in Perù conosce bene la situazione perché si misura con chi controlla il territorio. Lo stato, in molte regioni del mondo, non ha il controllo il territorio né offre servizi. La chiesa locale é in contatto con chi ha il potere reale e viene coinvolta nella mediazione dei conflitti».
Quale è stata la più grande difficoltà per trovare un canale effettivo con la Russia di Putin?
«Dopo la brutale invasione russa Papa Francesco ha cercato coraggiosamente una pace giusta e duratura tra Kiev e Mosca. La forza della pace chiama i belligeranti alla Speranza, ad un investimento nella politica e nella creatività che permette di esplorare quel che è possibile, ma non si vede. Speriamo in Istanbul. L’Europa unita dopo la seconda guerra mondiale è un esempio di questa creatività che è semplicemente impossibile quando si punta solo alla vittoria».
Come immagini l’impatto interno del primo Papa statunitense sull’America di Trump?
«Il primo impatto c’è già stato e è enorme perché ricorda a tutti che l’America non è soltanto l’America dei potenti e del denaro, ma l’America di chi lavora e si prende cura degli altri. È l’incontro con un cattolicesimo vicino alla gente comune, ai tantissimi che vivono onestamente e che sono legati alla loro comunità. Non è un cattolicesimo aggressivo, divisivo e diviso. È un cattolicesimo solidale, amico del mondo. Leone XIV ha vissuto poco negli Stati Uniti. Certo è nato negli Stati Uniti, ha studiato negli USA, ma è un religioso agostiniano con una vita missionaria fuori dal paese natale. La natura missionaria della chiesa per questo americano del nord si incontra con la povertà dell’America del sud. Leone XIV ha familiarità con il mondo: nel primo saluto ha parlato spagnolo e italiano, non inglese».
C’é stata la parata militare a Mosca. C’è qualche speranza di frenare il riarmo di Russia e Cina?
«La parata di Mosca non è solo una potenza che si ripresenta al mondo con l’invasione militare in Ucraina, ma un evento che ricorda la fine della II guerra mondiale, vinta anche grazie al sacrificio di milioni di cittadini sovietici per combattere il nazifascismo. Una giornata che ricorda a tutti la lotta di liberazione, il sacrificio degli americani e la possibilità per l’Europa di trovare la libertà. Il dialogo per la chiesa cattolica non è un invito generico: è il lavoro concreto di tutti nunzi e spesso anche di tutte le diocesi e comunità locali. Una chiesa non può sopravvivere se non dialogando; questo, come nel caso dei contatti in corso con Mosca e Pechino, porta a degli esiti che a volte appaiono problematici perché i tentativi sono spesso interpretati come debolezza. Questa peculiarità del cristianesimo ha aiutato molti popoli a trovare una strada pacifica e politica e uno spirito di legalità garantito da norme condivise. Riguardo alla questione del riarmo credo che non sia solo un problema russo e cinese; se ne parla anche in Europa. Il più grande investimento di riarmo è stato americano negli ultimi decenni; certo la Cina e la Russia hanno visto un riarmo enorme rispetto alle loro dimensioni precedenti».
C’é qualche spiraglio nei conflitti in Sud Sudan e Sudan?
«Sudan e Sud Sudan sono due situazioni legate, ma diverse. L’interesse internazionale è molto limitato perché concentrato su Gaza e l’Ucraina. Ma l’immensa tragedia umanitaria deve portare, non soltanto la Comunità di Sant’Egidio, ma la comunità internazionale a cercare quegli spiragli che sono spesso espressione di rapporti antichi, di conversazioni avute in passato, di relazioni stabilite a sostegno dell’una e dell’altra parte. Sì, gli spiragli ci sono anche se sono minimi, espressi in accordi umanitari molto limitati».
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