Chi non crede, può fantasticare che sia un curioso movimento della giostra della storia. Chi crede, deve credere che sia lo Spirito Santo. In un caso e nell’altro, c’è che è un agostiniano – Robert Francis Prevost – il Papa posto a regnare nel momento in cui gli ebrei, con il loro Stato, sono rimessi a giudizio.

La Chiesa cattolica si è a lungo affaticata a gestire l’eredità di Sant’Agostino, il gran maestro della cristianità, che aveva individuato nell’isolamento persecutorio degli ebrei il segno della loro colpa, cioè la “cecità” di cui davano prova non riconoscendo la luce e la salvezza nel Cristo Signore. Non vennero da Agostino, lungo il corso della cristianità, le più feroci dimostrazioni e teorizzazioni anti-giudaiche.
Ma fu agostiniana, e alimentò per sempre il ventre dell’antisemitismo cattolico, la giustificazione teoretica su base evangelica della discriminazione anti-ebraica.

Occorreva arrivare al nostro millennio perché la Chiesa giungesse a una sistemazione della questione. Nel 2001, commentando un lavoro della Pontificia Commissione Biblica sui rapporti tra Antico e Nuovo Testamento, Joseph Ratzinger scriveva che “il dramma della Shoah ha collocato la questione in un’altra luce”. E si domandava: “Non ha forse contribuito la presentazione dei giudei e del popolo ebraico, nello stesso Nuovo Testamento, a creare una ostilità nei confronti di questo popolo, che ha favorito l’ideologia di coloro che volevano sopprimerlo?”. L’uomo che sarebbe diventato Papa Benedetto XVI rispondeva a quella domanda spiegando che non il Nuovo Testamento in sé, ma l’intransigenza incapace di valutarne il linguaggio profetico conduceva a quelle ostilità nei confronti degli ebrei. Se non nelle intenzioni, almeno negli effetti era un raffinato tentativo di superamento di quell’antica lezione di Agostino.

Si comprenderà, dunque, quanto sia simbolicamente strepitoso che un agostiniano diventi Papa (è tremendo anche solo pensarla questa dicitura) quando una nuova “questione ebraica” torna a fare capolino minacciando la sicurezza degli ebrei. Saprà Leone XIV impedire che si legittimi una nuova accusa di “cecità” degli ebrei, cioè l’accusa neo-agostiniana secondo cui essi, rifiutando di riconoscere il “genocidio” dei palestinesi e di portarne il peso, devono essere condannati a un’esistenza discriminata? Il suo predecessore dimostrò ripetutamente, a dir poco, di non avere a cuore l’argomento. Avrà occasione di darne prova presto, il nuovo Papa. Ed è doveroso essere speranzosi.