Alla “televisione del Papa”, come la chiamano tutti e forse anche lui stesso, sono scossi. La scomparsa del Papa li ha terremotati. Gennaro Ferrara è il conduttore di Tv2000 che dall’inizio del Pontificato fino a ieri ha seguito Bergoglio con la trasmissione Diario di Papa Francesco.

«L’impatto di Francesco fu fortissimo sin dall’inizio, dal punto di vista comunicativo. Ci rendemmo conto di come la gente chiedesse di vederlo, di avere sue immagini, di ascoltare le sue dichiarazioni in maniera diversa dal passato».

Un primo Papa-influencer, ha coniato espressioni tutte sue.
«Ha inventato tante di quelle espressioni originali, belle e importanti che noi – giornalisti ed ecclesiastici – ripetiamo in maniera spesso pappagallesca, quindi svuotata. Invece ci sono tante sue espressioni che vanno ripetute, riflettute in modo contemplativo».

Citiamone qualcuna.
«È diventato un suo topòs la parola “Periferia”, usata in modo suo. Ci ha fatto riflettere su come molte cose si possano capire meglio da una prospettiva decentrata e non egocentrica. Una delle eredità che sento di Papa Francesco è di custodire sul serio le sue parole e i suoi gesti: la sua capacità di empatia gliela riconoscevano tutti. Fino all’altro giorno, quando a Regina Coeli ha detto ai detenuti: “Perché loro e non io?”. Sono tutte espressioni che sul momento colpiscono, esorbitano dal consueto e ci costringono a pensare».

Tu hai raccontato tutto il Pontificato, dall’inizio alla fine?
«Con Tv2000 abbiamo raccontato tutti i suoi viaggi, la pastorale, le grandi omelie. Tutto. E la prima cosa che posso dire è che di Papa Francesco colpiva la profonda umanità, la capacità di dialogo e di ascolto di tutti, l’assoluta normalità con cui viveva la sua correlazione con il mondo».

Un episodio in particolare, lo ricorda?
«Ce ne sono tanti. All’inizio del suo pontificato bisognava organizzare una intervista con lui, ci doveva contattare la Segreteria di Stato vaticana. Il direttore di allora, Paolo Ruffini, per un caso si trovava a passare vicino al centralino quando sentì che il telefono squillava, ma al centralino non c’era nessuno. Rispose lui. “Sono Papa Francesco, buongiorno, volevo parlarvi dell’intervista”. Ruffini credette a uno scherzo per qualche secondo, ma si misero a parlare e capì che era proprio il Papa, a telefonare. Un’altra volta chiese di parlare con me. Presi il telefono con un filo di emozione, ma dopo pochi secondi mi sono sentito a mio agio. Era davvero come parlare a cuore aperto con un amico, aveva questo potere di entrare subito in contatto profondo con le persone».

Non sarà facile sostituirlo. Neanche per voi, raccontare allo stesso modo un altro Pontefice.
«Abbiamo oggi perso l’unico leader globale credibile. L’unico che ha avuto una sua coerenza dall’inizio alla fine. Non lo sto mitizzando, cerco di essere oggettivo. Le sue parole e il suo modo di vivere, sempre guidate da un intento unitivo, mai divisivo, segnano la sua distanza da altre leadership identitarie. Poi che non sia piaciuto a tutti è un’altra questione».

Empatia e universalismo che gli derivavano da prima dell’inizio del magistero, dagli anni del sacerdozio.
«Appartiene alla sua biografia. Che come sappiamo è quella di un sacerdote che andava nelle periferie più pericolose con l’autobus. Appartiene alla sensibilità della chiesa latinoamericana che è quella del patto delle Catacombe, quella dell’opzione preferenziale per i poveri. Alla sensibilità pastorale di chi si è sentito chiamato a fare il Pastore senza lasciare neanche per un attimo il suo essere parte del gregge, del popolo di Dio. La svolta sinodale che ha cercato di dare lascerà il segno. Papa Francesco ha messo in piedi una serie di processi, fuori e dentro la Chiesa: forse nessuno si è concluso. La valutazione storica si potrà fare solo tra anni. Bisogna capire se la Chiesa imparerà ad essere sinodale e non più clericale».

Grande attenzione ai temi della geopolitica. Tra le tante dichiarazioni, qualche scivolata. “La Nato abbaia ai confini della Russia”, per citarne una, rimase indigesta per molti…
«La cifra di Papa Francesco è stata quella di chi aveva una visione molto chiara – sin da subito scelse Francesco, come nome, ed ha vissuto il suo magistero in coerenza francescana – ma al tempo stesso viveva il suo essere Papa giorno per giorno, non mancando di incorrere in errori. Da uomo libero, nel linguaggio: ha usato parole che non avevamo mai sentito pronunciare da un Papa. Dopo Charly Hebdo disse durante un viaggio in aereo, a un amico che gli stava vicino: “Se venisse a fare del male a mia madre io gli darei un cazzotto”. Del Patriarca Kyrill disse che era il “Chierichetto di Putin”. Ma fece di peggio. Errori più gravi: sottovalutò la denuncia degli abusi sessuali in Cile, salvo poi riconoscere il suo errore e ricevere gli interessati per chiedere scusa. Agì in maniera impulsiva, più volte. Da uomo libero, ha scontentato, a tratti, tutti».

Diciamo che il dogma dell’infallibilità del Papa va un po’ rivisto.
«Il dogma a cui ti riferisci però già viene ascritto, nella dottrina ecclesiastica, a un numero limitato di casi. Vale solo quando il Santo Padre parla ex Cathedra rispetto ad argomenti ristretti. Ci ha permesso di riconciliarci con l’umanità profonda della Chiesa: posto che può sbagliare anche lui, il suo sguardo tiene conto di più punti di vista rispetto a quanti siamo abituati a considerarne. È il primo Pontefice non occidentale, tornare indietro per la Chiesa non sarà facile. Forse non sarà possibile».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.