Riuscirà Joe Biden a concludere un discorso di senso compiuto e a evitare il ghigno di soddisfazione di Vladimir Putin? Era questo l’assillo nella testa dei leader dei paesi Nato riuniti a Washington, trepidanti per la performance del presidente Usa ad apertura dei lavori del summit che coincide con il 75° compleanno dell’organizzazione. Con il sollievo dei presenti che avevano negli occhi e nelle orecchie la performance fallimentare del dibattito televisivo con Trump, Biden porta a termine il suo discorso senza particolari intoppi. “Tutto ciò che noi alleati sapevamo prima di questa guerra era che Putin pensava che la Nato si sarebbe sgretolata. Oggi l’Alleanza è più forte che mai nella sua storia”, assicura, lasciando intendere i meriti della sua personale guida.

“Donazione storica”

Il presidente annuncia nuove forniture di sistemi di difesa aerea all’Ucraina da parte di Usa, Italia, Germania, Paesi Bassi e Romania: una “donazione storica”, grazie alla quale gli alleati “invieranno nei prossimi mesi dozzine di sistemi per la difesa aerea” a Kiev. I cinque paesi fornitori diffondono poi una dichiarazione congiunta nella quale si fa l’elenco delle “dozzine di sistemi di difesa aerea tattici” – soprattutto batterie di Patriot con l’aggiunta del sistema SAMP-T donato specificamente dall’Italia – che nei prossimi mesi arriveranno in Ucraina. C’è inoltre l’impegno degli Stati Uniti a garantire che “le consegne pianificate delle vendite militari straniere di intercettori per la difesa aerea” saranno riprogrammate “in coordinamento con i partner in modo che vengano consegnati all’Ucraina”.

Sostegno a Kiev “forte e incrollabile”

Confermato anche il sostegno agli “sforzi dell’Ucraina volti a sviluppare un’architettura di difesa aerea e missilistica integrata e interoperabile con la Nato”. Il che fa intendere che l’opzione di una integrazione sempre maggiore di Kiev nell’ambito dell’Alleanza resta un obiettivo concreto. Il comunicato si chiude con due paroline che a Mosca non faranno piacere: strong and unwavering. “Forte e incrollabile” sarà il sostegno dei 32 paesi all’Ucraina.
Sempre nel discorso inaugurale, Joe Biden ricorda che “nel 2020, solo nove alleati dedicavano il due per cento del Pil alla spesa per la difesa, mentre quest’anno sono 23: alcuni spendono anche di più, e quelli che ancora non hanno raggiunto questo obiettivo lo faranno presto”. Il messaggio, esplicito, è rivolto al suo avversario Donald Trump, il convitato di pietra che promette di far uscire gli Stati Uniti dalla Nato, accusa i paesi europei di non versare a sufficienza nelle casse dell’Alleanza e minaccia di abbandonare nelle grinfie di Putin gli Stati morosi.

Sulla Nato l’ombra dei repubblicani di Trump

La condivisione degli oneri atlantici è diventata negli Stati Uniti un argomento politico sensibile sia per i repubblicani che per i democratici, anche se minaccia di diventare un serio ostacolo per la coesione dell’alleanza qualora fosse Trump a conquistare per la seconda volta la Casa Bianca. Del resto, i sondaggi negli Stati Uniti mostrano che la Nato è sempre meno popolare tra i repubblicani: secondo il Pew Research Center, solo il 43% del Gop ha un’opinione positiva dell’alleanza (nel 2023 era il 49%). Ecco perché il vertice di Washington è anche un’occasione per i leader europei per sfatare i pregiudizi sull’avarizia del Vecchio continente.

Le mosse di Meloni e il messaggio a Conte

“Negli Stati Uniti si discute sul fatto che gli Usa fanno molto per supportare l’Ucraina mentre l’Europa non fa abbastanza. Se si guardano le cifre, il quadro è diverso. L’Europa fa più degli Stati Uniti: il supporto finanziario, il supporto militare che abbiamo fornito finora è stato enorme. Stiamo prendendo sul serio la sicurezza e la difesa”, assicura Edgars Rinkēvičs, presidente della Lettonia. Tra i leader europei pure Giorgia Meloni – che nella Nato cerca di rafforzare la centralità conquistata con la sua svolta atlantista, bilanciando l’isolamento nel quale è precipitata a Bruxelles – giura che l’Italia sta facendo tutto il necessario per confermare gli impegni di spesa assunti all’interno dell’Alleanza. “Abbiamo sempre confermato l’impegno, nel passato e nel presente. Lo ricordiamo a chi fa polemica, perché noi manteniamo gli impegni che hanno preso altri in passato: un po’ di coerenza aiuterebbe”, polemizza Meloni a Washington. La frecciata è chiaramente rivolta a Giuseppe Conte, che da presidente del Consiglio sottoscrisse l’aumento della spesa pro-Nato mentre oggi la rinnega nel nome del pacifismo peloso.

Ma per la premier italiana è ben più grave l’insidia “domestica”. Contro l’aumento dei contributi alla Nato e a Kiev, infatti, non si schierano soltanto i populisti e i radicali di sinistra (M5S e Avs) che oppongono capziosamente la difesa al welfare, ma anche la Lega: è la più classica delle convergenze gialloverdi (stavolta, a favore di Putin). “Aumentare gli aiuti militari all’Ucraina innalza il rischio di un’escalation militare e di un coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto”, accusa il vice-segretario leghista Andrea Crippa. Dal canto suo, Roberto Vannacci sposa la linea orbániana sulla Nato “alleanza difensiva”, sull’inutilità delle armi all’Ucraina (“tanto vince la Russia”) e sulla necessità di negoziati per la resa di Kiev a Mosca, giustificando così la sua nomina a vicepresidente dell’eurogruppo dei Patrioti. “Per l’Europa”, ma amici di Putin.

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