La procura di Ragusa ha aperto un fascicolo per chiarire le circostanze del naufragio in cui sono morte 30 persone avvenuto il 13 marzo a 100 miglia a nord di Bengasi, in acque internazionali e nella zona di soccorso teoricamente di competenza della Libia (la Sar libica, esistente solo sulla carta). I 17 superstiti condotti al largo di Pozzallo dalla nave cargo “Froland” sono sentiti come testimoni dalla Procura che ha acquisito il diario di bordo del cargo per ricostruire i fatti nel dettaglio.

L’ong Alarm Phone nella notte tra il 10 e l’11 marzo era stata contattata dalle 47 persone sull’imbarcazione in pericolo poi naufragata. “Ci avevano comunicato la loro posizione Gps, che avevamo trasmesso alle autorità italiane, maltesi e libiche alle 2:28 dell’11 marzo – ha detto da subito Alarm Phone – la situazione era critica. La barca era alla deriva. Le condizioni meteorologiche erano estremamente pericolose. Le persone a bordo urlavano al telefono, dicendoci di avere bisogno di aiuto. Abbiamo informato, ripetutamente, sia via e-mail che per telefono, il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) italiano di questa situazione (gestito dalla Guardia Costiera n.d.r.). Abbiamo inviato le posizioni Gps, segnalato il deterioramento delle condizioni, delle persone e dell’imbarcazione, chiedendo più volte che venisse lanciata immediatamente un’operazione di soccorso. Poco dopo il primo Sos, alle 3:01, abbiamo chiesto al Mrcc di Roma di ordinare alla nave mercantile Amax Avenue, che si trovava nelle vicinanze, di intervenire. Eppure, nonostante la vicinanza, la nave ha proseguito oltre il luogo dove si trovava l’imbarcazione, senza fermarsi. Se il Mrcc di Roma glielo avesse ordinato, sarebbe potuta intervenire”.

Nove ore dopo il primo Sos, Seabird 2, il velivolo di ricognizione di Sea Watch ha avvistato l’imbarcazione in difficoltà e ha dato l’allarme del rischio naufragio imminente. : “Una barca di legno grigia, 50 persone a bordo, onde alte, la gente in pericolo si sbraccia, è richiesta assistenza immediata”. Risponde subito il mercantile Basilis L: “Siamo a circa 20 miglia, stiamo procedendo ora”. Il video girato dall’aereo mostra onde che coprono il ponte del mercantile alto più di cinque metri. Passa un’ora e quando alle, 10.30, Sea Bird richiama Basilis per sapere perché non interviene, la risposta è: “La sala operativa di Roma ci ha detto di seguire le istruzioni della Guardia costiera libica. Raggiungere il luogo e attendere”.

Passano le ore e nessuna motovedetta arriva. Si diffonde il timore che sia in corso un respingimento mascherato da soccorso. Roma, in quanto prima autorità a essere informata dei fatti, dovrebbe coordinare il salvataggio in attesa dell’arrivo dell’autorità del Paese competente. Si limita a ordinare al mercantile di passaggio di restare nell’area vicino al barcone, aspettando che arrivi una motovedetta libica a riportare in Libia i migranti. Ma la motovedetta stavolta non arriva nemmeno. Ecco la risposta che Sea Watch ottiene dalla sala operativa di Tripoli: “Non abbiamo nessuna motovedetta a Bengasi oggi. Proviamo a trovarne una, proviamo”.

Alle 16.02, Sea Watch richiama Roma e spiega: “Il nostro aereo ha lasciato la scena, abbiamo appena chiamato i libici e ci hanno detto che non sono riusciti a trovare nessuno e quindi nessuna motovedetta si sta dirigendo verso il caso in pericolo. Chi è ora responsabile per questo caso visto che Jrcc Libia non è in grado di rispondere a questa emergenza? “. La risposta del Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma : «Ok, thank you for the information. Bye bye».