Lo scenario politico italiano ha mostrato un sostanziale mutamento nel corso degli ultimi mesi. Dapprima, lo scorso settembre, con la vittoria elettorale di Giorgia Meloni e la sua conseguente assunzione della carica di Presidente del Consiglio. E poi, più di recente, con la vittoria di Elly Schlein, che è diventata segretario del Pd, la maggiore forza di opposizione. Le due nuove protagoniste della politica del nostro paese sono, come si sa, molto diverse tra loro.

Meloni evoca il “ritorno della politica”. Più precisamente, la leader di FdI rappresenta il rientro dei politici di professione al governo. Berlusconi è stato il primo ministro “tecnico” – un’espressione un po’ vaga per definire una persona senza passato di militante di un partito politico. Meloni, con i suoi molti anni di militanza, è una politica formata, con lunga esperienza di parlamentare e leader di un partito. Viceversa, Schlein si forma sostanzialmente fuori dei partiti: è in qualche misura una esponente di movimenti, anche se ha un’esperienza di parlamentare europea. Meloni è una underdog – come si è definita lei stessa con fierezza, una del popolo, o delle borgate romane, con un chiaro accento locale. Schlein è una figura tipica del cosmopolitismo, perfettamente bilingue, come lingua paterna l’inglese, nata in Svizzera, ha tre passaporti ed ha lavorato in America per la campagna elettorale di Obama. Si è sempre interessata di politica, ma è estranea alla politica di partito del Pd.

Malgrado le notevoli differenze tra loro, Meloni e Schlein hanno un effetto comune – si potrebbe dire nel loro “combinato disposto” – sull’assetto del sistema politico: l’accentuarsi evidente della bipolarizzazione, specie dal punto di vista dell’opinione pubblica e delle scelte dell’elettorato. Entrambe infatti svolgono una funzione di forte attrazione per i loro elettori potenziali, anche se, naturalmente, ciascuna delle due attrae un segmento diverso del mercato politico, con sovrapposizioni numericamente trascurabili. Di fatto, malgrado le ultime difficoltà del Governo (ma la vicenda di Cutro, malgrado la sua drammaticità e l’ampia attenzione data dai media, ha avuto effetti modesti sull’orientamento politico dell’opinione pubblica e ha provocato solo un rafforzamento – appunto in un’ottica di polarizzazione – delle convinzioni di ciascuno), Meloni mantiene un ampio sostegno: il suo indice di gradimento è pari a 51 (fonte Ipsos): è la leader più popolare del nostro paese.

Dall’altro canto, Schlein ha mostrato di godere di un forte appeal tra gli elettori di centrosinistra e, ancor più, tra quelli di sinistra tout-court. E anche considerando l’elettorato nel suo insieme, in termini di popolarità è seconda solo a Meloni. Insomma, la vita politica italiana si incarna oggi sempre più nello scontro tra le due leader. I sondaggi più recenti mostrano come la ascesa di Schlein al vertice del Pd abbia significativamente sollevato le sorti del medesimo, che, superato il calo durante il periodo di “sede vacante” della segreteria, vede oggi un evidente sorpasso del partito di Conte. Questo però potrebbe anche essere il limite delle potenzialità di Schlein sul mercato elettorale. Certo, potrebbe continuare, come è accaduto in questi ultimi giorni, ad attirare verso il suo Pd elettori giovani che si erano accomodati nell’astensione.

E, al tempo stesso, proseguire nel sottrarre voti soprattutto al suo possibile alleato di sinistra, il M5S di Conte, il quale, nonostante gli abbracci in pubblico, non deve essere particolarmente felice della conquista di una parte crescente dei suoi consensi da parte della segretaria del Pd. Ma nell’insieme, da questa parte dello spettro politico, almeno per ora, cambia la distribuzione di voti all’interno, ma la somma complessiva dei consensi resta più o meno la stessa. Nei fatti, il centrosinistra continua ad essere minoritario, a meno di un’alleanza con Azione/Italia viva. Questa polarizzazione dei consensi – e di visibilità – verso le due leader carismatiche pone naturalmente problemi al centro. Le forze politiche che si collocano in quest’area vedono infatti eroso il loro ruolo e si trovano sempre più in difficoltà. Anche se, d’altra parte, l’alleanza con loro continua a costituire l’unica possibilità per il centrosinistra di diventare maggioranza tra gli elettori. Ma questo del “campo largo” appare uno scenario, almeno per ora, difficilmente praticabile.

Come potrà evolversi in futuro questa situazione? Nel breve periodo, probabilmente, Schlein continuerà a attrarre consensi (e, a meno di colpi di scena da parte di Conte, a sottrarre voti al M5s) e, nel contempo, dare forma e figura al nuovo Pd. Non è un compito facile. Occorre infatti ricordare che l’ascesa di Schlein non ha sin qui risanato le forti fratture – personali, ma anche di linea politica – che caratterizzano tuttora il partito. Sono significativi al riguardo i risultati dalla ricerca che Fasano e Natale hanno compiuto sui delegati alla recente assemblea del Pd che ha designato Schlein a segretario. Da questi dati su ha un’ulteriore conferma del fatto che gli “elettorati” di Bonaccini e Schlein rimangono fortemente divisi su molti aspetti (e valori) fondamentali. Valga come esempio l’orientamento su un provvedimento simbolico quale la proposta di premiazione in termini di retribuzione degli insegnanti più meritevoli. Esso vede favorevole la maggioranza (60)% dei sostenitori di Bonaccini e, all’opposto, contrari il 55% dei seguaci di Schlein.

Con una divisione che sembra “spaccare” anche in questo caso l’intero partito: complessivamente il 52% dei delegati Pd sarebbero favorevoli a un provvedimento siffatto e il 48% contrari. Riuscirà, di fronte all’esigenza di passare col tempo da slogan ideologici e, in fondo, generici a proposte concrete, Schlein a portarsi dietro un partito così diviso, anche tenendo conto dello scarso (o inesistente) controllo dei gruppi parlamentari?

Anche Meloni, naturalmente, ha le sue difficoltà. Ha la maggioranza in parlamento, ma deve governare l’Italia. Il che, come si sa, non è facile. Bisognerà vedere come si sbroglia con la questione dell’autonomia, e con la riforma del fisco e con l’UE. Insomma, il compito di Meloni appare meno agevole, almeno per ora, di quello di Schlein. Ma, se come è possibile e ragionevole per lei, la primo ministro si sposta verso il centro e occupa lo spazio politico che era quello della DC, c’è una seria probabilità che si torni al bipolarismo imperfetto della cosiddetta prima repubblica, con la sinistra sempre forte, ma confinata all’opposizione. E il centro sempre più irrilevante.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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