Accolta dalla contestazioni interna alla Cgil, con una minoranza del sindacato che l’ha attesa con striscioni sulla strage di Cutro, peluche e canzoni, ovviamente “Bella Ciao”, la premier Giorgia Meloni ha parlato oggi al terzo giorno del XIX congresso della Cgil.

Una presenza a suo modo storica: l’ultima volta che un Presidente del Consiglio ha accettato l’invito all’assise del principale sindacato italiano e di sinistra era il 1996, col governo Prodi ovviamente ben più vicino alle istanze del più importante sindacato italiano.

Ma il segretario uscente Maurizio Landini rivendica la scelta di invitare per la prima volta un presidente del Consiglio in carica e di destra: “Abbiamo scelto di fare un congresso aperto, di parlare con tutti”, spiega Landini in giacca e cravatta rossa.

“È il momento di imparare anche ad ascoltare, è importante per noi come organizzazione sindacale: non è solo altruismo, ma la miglior condizione per chiedere il diritto di essere ascoltati”. Il mondo del lavoro, spiega Landini, “deve esser messo nelle condizioni di negoziare le riforme di cui ha bisogno”. Sulla presenza di Meloni, che ha ringraziato, ha detto che è “una forma di rispetto e di riconoscimento dell’organizzazione che siamo, che non vuole essere spettatore ma protagonista del cambiamento del nostro Paese”.

Fischi e confronto

A Rimini la premier non si sottrae ai fischi, che partono appena sale sul palco del congresso, mentre c’è chi tra i delegati intona “Bella Ciao”. Anzi, Meloni rivendica di essere “fischiata da quando ho 16 anni, potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo”.

C’è anche chi contesta indossando una t-shir con le parole “Pensati sgradita”, parafrasando i vestiti-messaggio sfoggiati da Chiara Ferragni durante il Festival di Sanremo. La premier però ringrazia tutti, anche chi “mi ha contestato con slogan efficaci, anche se non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica”.

Eppure, aggiunge Meloni “è molto più profonda la ragione che mi porta qui. Oggi è il 17 marzo, quando si celebra la nascita statutaria della nostra nazione. Sono 27 anni che il capo del governo non partecipa al congresso della Cgil. Era normale che fosse il presidente del consiglio più lontano da questa platea ad essere qui? Io penso di sì, perché penso che questa possa essere l’occasione di celebrare l’unità nazionale. La contrapposizione ha un ruolo educativo per le comunità, ma l’unità segna il comune destino. Noi lavoriamo partendo dalle differenti condizioni, ma il confronto è fondativo”.

Unico tiepido applauso arriva dalla platea quando Meloni cita e condanna “l’assalto alla sede della Cgil da parte dell’estrema destra” del 9 ottobre 2021 a Roma.

Il lavoro

Quindi spazio ai temi forti, a partire ovviamente dal lavoro e alle sua sfaccettature. Così nel suo intervento Meloni ricorda come i salari italiani “non crescono da 30 anni” e “sono gli unici più bassi che nel Novanta”. La risposta è “puntare tutto sulla crescita economica”.

No secco, ancora una volta, al reddito di cittadinanza che l’esecutivo da settembre cambierà nella ‘Mia’. Meloni lo rivendica e senza citare i suoi predecessori, sottolinea che “veniamo da un mondo in cui si pensava di abolire la povertà e creare lavoro per decreto. Oggi qualcuno chiede che sia lo Stato, per legge, per decreto a creare un salario elevato. Ma le cose non stanno così e lo abbiamo visto: la ricchezza la creano le aziende e i loro lavoratori, lo Stato deve fare le regole. E la sfida è mettere aziende e lavoratori nelle condizioni migliori per crearla e farla riverberare su tutti”.

Reddito di cittadinanza che invece per la presidente del Consiglio “ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro”.

Meloni ribadisce anche il suo ‘no’, già espresso alla Camera nel question time in cui aveva risposto alla segretaria del Pd Elly Schlein, al salario minimo. Per la premier “non è la strada giusta, favorirebbe i soliti”. Piuttosto “possiamo lavorare insieme un sistema di ammortizzatori sociali universali, sia il lavoratore dipendente, autonomo o atipico: non costruire una cittadella di garantiti impermeabile a chi rimane fuori”.

La ricetta del governo è invece quella di estendere la contrattazione collettiva “a vari settori e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro”.

La riforma fiscale

Dal palco di Rimini Meloni difende anche la riforma fiscale approvata in Consiglio dei Ministri giovedì, progetto che trova proprio nella Cgil di Landini un fiero oppositore.

La premier davanti ai delegati del sindacato e al padron e di casa elenca gli obiettivi della riforma: “Una diminuzione progressiva delle aliquote Irpef, che non vuol dire far venire meno la progressività ampliando sensibilmente lo scaglione di chi rientra nella prima aliquota per ricomprendere nel suo interno molti lavoratori dipendenti; l’introduzione anche per i dipendenti di una tassa piatta agevolata sugli incrementi di salario: il riconoscimento del principio del merito; rendere deducibili benefici come trasporto, istruzione e rendere monetizzabili i fringe benefit ad esempio nel caso della nascita di un figlio; vogliamo che i contributi dei lavoratori agli enti bilaterali siano deducibili e detassare le iniziative degli stessi enti a favore dei lavoratori; allineare i lavoratori dipendenti e pensionati sul livello più alto di no-tax area; abbassare gradualmente l’Ires”.

Avatar photo

Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia