E adesso la faccenda si fa più seria. Perché non sono i Donzelli, i Delmastro o i Valditara che pure hanno fatto cose che avrebbero già preteso la censura del Presidente del consiglio garante di tutti e non più capo politico di una parte. Stavolta ha parlato il Capo dello Stato. Anzi, Sergio Mattarella ha scritto.

Ed è una lettera di richiamo al Presidente del consiglio e ai presidenti di Senato e Camera che non lascia dubbi: il Mille proroghe va in Gazzetta, è promulgato, ma solo perché al suo interno sono mescolate così tante scadenze che non farlo vorrebbe dire provocare il caos. In realtà ci sarebbero stati gli estremi per non firmare: per questioni di metodo – abuso della decretazione d’urgenza e norme disomogenee – e di merito. Quest’ultime riguardano la proroga di uno-due anni delle concessioni per i balneari che non rispetta la normativa europea. Si tratta del primo vero cartellino giallo che il Quirinale fischia al governo Meloni. Arriva a quattro mesi esatti dal giuramento del governo.

Si fa notare che erano passati quattro mesi anche quando nel 2018 – era il 4 ottobre – sempre Mattarella fischiò lo stesso fallo al governo Conte1 per i decreti sicurezza di Salvini. Dieci mesi dopo – agosto 2019 – il Conte1 cadde per fare posto ai giallorossi del Conte2. Le opposizioni esultano, “finalmente – sibilano – era un pezzo che aspettavamo l’intervento del Capo dello Stato, il decreto rave, il primo di questo governo gridava vendetta”. Non solo il decreto rave. Anche il decreto Ong appena licenziato. E molti altri decreti, a volte persino inutili come quello sulla Trasparenza. In questi quattro mesi il Capo dello Stato, seppur provocato, non ha mai reagito. “Teme che su lui ci sia una sorta di pregiudizio. Ecco perché finora ha tirato il freno” era una lettura suggerita da ambienti vicini al Quirinale.

Fino a ieri. Quando ha parlato in modo chiarissimo. “L’esame della legge di conversione del decreto-legge” scrive nella lettera “ha fatto emergere molteplici profili critici a cominciare dalle concessioni demaniali, che potrebbero giustificare l’esercizio dell’articolo 74 della Costituzione”. Cioè Mattarella ha preso in esame anche la bocciatura e la richiesta alle Camere di una nuova promulgazione. “Sono tuttavia consapevole – ha precisato – della delicatezza, sotto il profilo costituzionale, del rinvio alle Camere di una legge di conversione di un decreto-legge, a pochi giorni dalla sua scadenza: farebbe, inevitabilmente, venir meno, con effetti retroattivi e in modo irreversibile, tutte le numerose altre disposizioni contenute determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme”.

Quindi lo ha firmato ma precisando che c’è “la necessità ineludibile di ulteriori iniziative di governo e Parlamento” per correggere le norme che in ogni caso si presterebbero a contenziosi e probabili impugnazioni con l’Ue, il Consiglio di Stato, enti locali ecc. Per il resto – abuso della decretazione e norme disomogenee – il Presidente della Repubblica si attende una inversione di tendenza “come già assicurato dal Presidente del Consiglio recentemente”. Non può sfuggire che la lettera arrivi all’indomani di un pranzo ufficiale del Capo dello Stato con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Entrambi erano insieme a Palermo per l’inaugurazione dell’anno accademico. E senza dubbio tra un piatto di pesce e una granita di frutta, i due si sono confrontati su vari temi di attualità – dall’Ucraina all’energia – e anche sui balneari, questione legata al Pnrr attraverso il disegno di legge sulla Concorrenza.

Non era un mistero che prorogare di un anno cioè al 2025 le licenze delle oltre duemila concessioni balneari senza fare le gare nel gennaio 2024 come previsto, appunto, dal ddl Concorrenza (ultimo provvedimento a firma Draghi di cui però mancano ancora i decreti attuativi che il governo Meloni non ha mai fatto) avrebbe fatto storcere il naso a Bruxelles. La procedura d’infrazione potrebbe-dovrebbe scattare subito. A meno che la lettera di Mattarella non sia uno scudo a garanzia del fatto che poi invece le cose cambieranno secondo le richieste del mercato e di Bruxelles. È un fatto che la legge sulla Concorrenza e una sentenza del Consiglio di Stato obbligano a indire le gare entro la fine di quest’anno (2023). E che gli emendamenti introdotti nel Milleproroghe su richiesta di Lega e Forza Italia, dicono invece il contrario.

La solita incertezza ed ambiguità che rendono l’Italia, agli occhi dell’Europa, spesso inaffidabile. E che complicano la vita di cittadini, imprenditori, enti locali visto che d’ora in poi, di fronte alle palesi contraddizioni contenute nelle varie norme, fioccheranno ricorsi e denunce. E ciascuno avrà a suo modo ragione. Un mondo di pazzi. Con regole à la càrte. La lettera fa a pezzi anche il decreto in generale diventato, contro la legge e le regole, una specie di salame con dentro un po’ di tutto. Le opposizioni esultano per “la figuraccia epocale”. Non è chiaro come adesso il governo possa correggere senza smentire sé stesso. Come era già successo per il decreto rave. Però dovrà farlo. È scritto chiaro e tondo nella lettera del Capo dello Stato.

Di sicuro Giorgia Meloni avrebbe fatto volentieri a meno di questo ennesimo guaio. Dopo avere ancora aperti i dossier con i fedelissimi Donzelli e Delmastro, difesi dal governo e dal ministro ma sfiduciati dai fatti. Per non parlare dell’alleato Berlusconi messo alla berlina da Zelensky e dal Ppe per le sue posizioni filorusse. O del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Lega) che ne spara una ogni quindici giorni, più o meno. L’ultima – l’attacco alla preside di Firenze che in una bellissima lettera ha messo in guardia dal rischio fascismo – dovrebbe presto portarlo in aula. A spiegare come possa “un ministro dell’Istruzione essere così ideologizzato”. Lo chiedono tutte le opposizioni, da Verdi e Sinistra al Terzo Polo passando per Pd e M5s. Ma potrebbe anche non bastare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.