Di lotta e di governo. Senza mediazioni né infingimenti. Dopo quasi quattro mesi a palazzo Chigi non è più un mistero la leadership double-face di Giorgia Meloni, la Giorgia 1 o 2 a seconda dei momenti. La domenica il comizio in stile Vox dove alza i toni contro l’Europa (“ci vogliono far mangiare le cavallette fritte”), fa propaganda ribaltando i fatti per cui dice “lo Stato non tratta con i mafiosi” quando la questione non è mai stata sul tavolo in questi termini, blinda i suoi emissari, Donzelli e Delmastro, che hanno combinato il pasticcio Cospito scrivendo una lettera al Corriere della Sera i cui toni sono ben lontani dalla pacificazione che dovrebbe esercitare il Presidente del Consiglio.

Il lunedì a palazzo Chigi a gestire le emergenze del Paese chiamato Nazione. In mezzo anche una spolverata di diplomazia con la colazione con il primo ministro etiope Abli Ahmed Ali. Sull’attacco cyber che nel fine settimana ha messo in ginocchio e sotto ricatto centinaia di aziende italiane, gli occhi della nostra intelligence sono puntati su proxy di area est e riferibili a Mosca e dintorni. “Ma la nostra Agenzia nazionale per la cybersicurezza ha saputo reagire nei tempi necessari per evitare disastri nei server di aziende strategiche o primarie per la sicurezza nazionale” è il messaggio confortante che esce da palazzo Chigi dove il sottosegretario Mantovano ha tenuto un briefing con i vertici di Acn e del Dis. Buone notizie anche sul fronte energetico: la premier ha riunito una cabina di regia sul Pnrr con cinque ministri (Fitto, Giorgetti, Pichetto Fratin, Lollobrigida, Urso) e gli ad di Eni, Terna, Enel, Snam (tutti in scadenza) per verificare la gestione di quel nuovo tesoretto europeo (il Repower Ue) che nell’ambito del Pnrr è stato potenziato e finalizzato a contrastare i costi del caro energia.

Siamo ben lontani da quella flessibilità e dal fondo europeo che Meloni chiede nei vertici europei (anche l’altro giorno a Berlino da dove però è tornata con le pive nel sacco). La leader blinda quindi il governo e sul caso Donzelli-Delmastro impone il suo “punto a capo”. Ma la premier deve fare i conti con le regionali. Perché blindare il governo vuol dire scontentare il resto della maggioranza. Che a sette giorni dal voto prova, come sempre, a mettere da parte le differenze ma sa che i risultati del voto del prossimo fine settimana possono essere una miccia letale. Non sono un mistero le tensioni dell’ultima settimana. Persino il diplomatico Tajani ha sottolineato: “Forza Italia non ha mai alzato i toni”.

Senza contare i malumori filtrati da Berlusconi e da tutto lo stato maggiore di Forza Italia nella vicenda Cospito e culminati nel siluramento di Giorgio Mulè dalla presidenza del Gran Giurì (rinviato a dopo il voto). Anche Salvini si è smarcato dalla canea della scorsa settimana con ecumenici inviti “ad abbassare i toni”. “Che tutto questo ci serva da lezione” ha ammonito il fedelissimo Romeo. Molti insider dicono che “Giorgia si è arrabbiata più con Forza Italia che con Minnie e Topolino”, al secolo Donzelli e Del Mastro. Ora, il problema che Meloni sembra ignorare con grande sicurezza è proprio l’esito delle regionali. La premier non considera Forza Italia un problema. Salvini è convinto di esserselo “comprato” facendogli alzare la bandierina della legge sull’Autonomia differenziata ben sapendo che tra la bandierina e il traguardo ci sono di mezzo mesi e anni. La premier non si cura di quanti, anche tra i suoi, la mettono in guardia: occhio che non possiamo stravincere, non possiamo umiliare i nostri alleati.

E invece questo dicono i sondaggi aggiornati ogni giorno sulla sua scrivania. Nel Lazio le proiezioni danno Fratelli d’Italia più alta quattro volte la somma di Lega e Forza Italia. In Lombardia i Fratelli sarebbero tre volte sopra la Lega con il rischio che Salvini non arrivi al 10%. Scenario devastante per la stabilità del governo. È evidente infatti che né BerlusconiSalvini potrebbero accettare una simile umiliazione. Senza contare, ad esempio, che la credibilità e le aperture di credito conquistate a Bruxelles, al di là della popolarità di Meloni, sono merito soprattutto del lavoro attento e scrupoloso del ministro economico Giancarlo Giorgetti. Che la Lega, e soprattutto la premier, dovrebbero probabilmente valorizzare di più rivendicando alcune prudenze e altrettante previsioni (ad esempio sul calo dei prezzi energetici).

Ma nel quartier generale di via della Scrofa qualcuno – più d’uno – sembra coltivare il sogno di poter fare da soli. Senza “quei continui bastoni tra le ruote” (cit. Meloni) che la stessa maggioranza continua a mettere su ogni dossier, dalla giustizia all’immigrazione, dal caro benzina al caro bollette, dalla sicurezza alla scuola. Domenica all’Auditorium della Conciliazione non è andata in scena la manifestazione per il candidato del centro destra Francesco Rocca ma la celebrazione della leader di un partito stabilmente al 30%. I più vicini sono Pd e 5 Stelle, tra il 16 e il 18 per cento, il Terzo Polo all’8%. Ma le opposizioni sono divise, come lo è la maggioranza. E non intendono fare maquillage di consenso. Ecco che il think tank della comunicazione di via della Scrofa sta cercando di far diventare il caso Cospito una sorta di referendum pro o contro Meloni. Pro o contro il Pd. Stravolgendone totalmente il merito. Meloni vuol vincere. Anzi stravincere.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.