Certi anniversari andrebbero aboliti e con loro il rischio di fare figuracce. Uno di questi è certamente il bilancio dei primi cento giorni di governo. Soprattutto per un governo politico che dice da anni di essere “pronto” a governare. Giorgia Meloni cerca di levarselo di torno da giorni, ha riempito l’agenda di appuntamenti per lo più internazionali perché è chiaramente sulla geopolitica che preferisce confrontarsi adesso. Ma è caduta nella retorica, nella propaganda e nell’incoerenza di elencare successi che tali non sono. Poi va tutto bene, spread stabilmente sotto i 200 punti, borse in crescita di venti punti. Ma è sorprendente la metamorfosi che la leader di Fdi diventata premier è riuscita a fare.

Nelle due settimane a cavallo dei cento giorni – per la precisione ieri 30 gennaio – l’agenda del presidente del Consiglio segna appuntamenti più all’estero che in Italia: il 23 gennaio in Algeria, il 29 in Libia, nel mezzo un paio di riunioni da remoto del G7 per l’escalation della guerra in Ucraina, ieri il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ricevuto a palazzo Chigi per oltre due ore, nel prossimo fine settimana due tappe clou come Berlino e Stoccolma, la settimana successiva (9-10 febbraio) il Consiglio straordinario europeo. «Cruciale su due temi come economia e migranti», ha sottolineato la premier ieri nel briefing stampa dopo l’incontro con Michel. Un solo Consiglio dei ministri in dieci giorni, ieri, con l’urgenza di prendere in mano il caso Cospito e trasferire l’anarchico al 41 bis e da 105 giorni in sciopero della fama in una struttura in grado di fornire l’assistenza medica. Doveva essere fatto molto prima.

È più confortevole occuparsi di politica estera visto che quella interna è un continuo inciampo per via delle fughe in avanti degli alleati di maggioranza: giustizia, balneari, autonomia, stipendi più alti agli insegnanti del Nord e pene più alte per gli atti osceni in luogo pubblico. Su ogni tema è un fiorire di disegni di legge che un secondo dopo essere stati depositati si beccano lo stop di palazzo Chigi. Nonostante l’agenda zeppa di dossier esteri, Giorgia Meloni è stata costretta a tirare la riga sotto i suoi primi cento giorni. Ci ha dedicato un’intera puntata social degli “Appunti di Giorgia” e ha voluto indicare cinque “cose fatte”. Nell’ordine: il patto per la terza età; il ddl sulla giustizia; il progetto Stazioni sicure; gli incontri in Algeria e Libia per fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa; il contrasto all’immigrazione irregolare.

Analizzando questi cinque punti è facile dimostrare che nessuno di questi può definirsi “realizzato”, a mala pena forse incardinato e dagli esiti ancora incerti. Il Patto per la Terza età è uno dei punti di programma. Uno dei più nobili: si tratta di capire che l’Italia è un paese soprattutto di anziani che rischiano di restare fuori da servizi, diritti e socialità. Anziani più sicuri e meno soli. Detto così è bellissimo. Per il momento si tratta di intenzioni. Senza copertura. Il disegno di legge sulla giustizia è un contenitore di cui si conosce la forma, che è poi è quella dettata dal Pnrr: abbattere i tempi dei processi penali del 40% e del 25% quello civili, recuperare quel 2% di pil (circa 38-39 miliardi) che perdiamo ogni anno per la scarsa affidabilità del nostro sistema giustizia soprattutto nel civile.

È un discorso vecchio di almeno dieci anni. Qualcosa è stato fatto. Molto resta da fare. Peccato che la discussione al momento sia sia concentrata soprattutto sulle intercettazioni e lì si sia fermata. Una cosa è stata fatta: corretto un buco lasciato dalla riforma Cartabia – obbligo di querela per tutti i reati – che rischiava di bloccare indagini e lasciare liberi pericolosi sospettati.Il progetto stazioni sicure, terzo punto tra i cinque indicati, consiste in pattuglioni di polizia e carabinieri a presidiare stazioni diventate calamite di degrado, povertà, prostituzione, spaccio, insicurezza. Si tratta di una ricetta antica, un usato-sicuro che non è la soluzione visto che il problema viene semplicemente spostato di qualche centinaio di metri.

“Italia hub energetico per l’Europa grazie alla sua posizione nel Mediterraneo”, il quarto punto della cinquina: tutto vero e prezioso, ma è un percorso iniziato da Draghi sotto la regia dell’Eni di Claudio Descalzi che Meloni sta correttamente portando avanti. Infine la premier ha indicato “il contrasto all’immigrazione clandestina e al traffico di essere umani”. Qui basterà dire che dal “blocco navale”, per anni cavallo di battaglia di Fdi, siamo arrivati alla “necessità della condivisione e di un progetto europeo” passando dal grande freddo diplomatico con la Francia e il resto d’Europa.

Intanto però se le navi delle ong sono state costretta a rallentare la loro azioni, sbarchi ed arrivi continuano ad aumentare nei numeri. Non sono le ong il problema. Ma del resto, che è molto complesso, non si parla. Anzi sì, per dire che serve più Europa. È una lista di “successi” che mascherano l’unica vera notizia di questi cento giorni: il governo Meloni è l’esecutivo più europeista di sempre (per fortuna) e che, come tutti gli altri, “deve fare i conti con la realtà”. Lo ha detto Giorgia Meloni qualche giorno fa ad Algeri.

 

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.