Si lavora su due date: entro il 12 febbraio approvare in Consiglio dei ministri il disegno di legge sull’Autonomia differenziata, il testo Calderoli, “ma con le modifiche che chiedono Fratelli d’Italia e Forza Italia”. Cosa su cui Calderoli non è troppo d’accordo. La seconda data è la fine di febbraio: per quella data sarà pronto il disegno di legge di riforma costituzionale sull’elezione diretta del Capo dello Stato. Una nebulosa nella sostanza ancora molto ma molto vaga. E su cui la ministra alle Riforme Maria Elisabetta Casellati concluderà entro la fine del mese di gennaio il giro di consultazione con tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione.

Son le due date finite sul tavolo del vertice di maggioranza convocato ieri sera a palazzo Chigi dalla premier Meloni. “Ci sono crepe e tensioni nella maggioranza” spiega una fonte tecnica del governo. “E’ necessario che Fratelli d’Italia conceda qualcosa agli alleati e che lo faccia prima delle Regionali”. Un voto (12 e 13 febbraio) che intreccia la partita riforme e mette i Fratelli nella posizione scomoda di non poter stravincere. Se Lega e Forza Italia fossero schiacciati nel voto delle regionali (cosa che i sondaggi lasciano prevedere), le tensioni aumenterebbero fino ad andare fuori controllo. E su questo Giorgia Meloni deve iniziare a ragionare moderando l’istinto da the-winner-takes-it-all (il vincitore prende tutto) che invece sembra prevalere nelle scelte politiche e nelle nomine. L’incidente sul Csm registrato martedì deve essere un campanello d’allarme: il fedelissimo e uomo-partito Valentino costretto ad uscire di scena in modo repentino, sostituito in corsa da Giuffrè (che però non ha raggiunto il quorum e dovrà ritentare martedì 24) e in difesa del quale non una voce si è alzata da parte di Lega e azzurri costretti dal partito di maggioranza ad avere “solo” due candidati in quota Lega e uno solo in quota Forza Italia. I Fratelli ne hanno quattro. “Vorranno la vicepresidenza di palazzo dei Marescialli dopo che si sono già presi il ministero della Giustizia” mormoravano, con fastidio, anche ieri gli alleati di Meloni.

Da tutto questo la necessità di fare un tagliando alla maggioranza. E il vertice di ieri pomeriggio a cui hanno partecipato i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, i ministri Casellati (Fi), Calderoli (Lega) e Fitto che ha la delega ai Rapporti con l’Europa e sul Pnrr. Perché nella partita riforma costituzionali rientra anche il Pnrr. La Lega chiede da tempo che si vada avanti prima con l’autonomia differenziata perché “è già in Costituzione e basta applicare quanto portato avanti da anni” ripetono da settimane Calderoli e lo stato maggiore della Lega. Quanto “prima” è legato al voto delle Regionali: la Lega ha bisogno di dimostrare ai lombardi al voto tra poco – e ai friulani al voto in primavera – che le promesse sono fatti. E che l’Autonomia sarà approvata in Consiglio dei ministri prima delle urne. Per Salvini, ma anche Bossi (che in Lombardia ha rinunciato a presentare la lista del “Comitato del nord”), Calderoli e tutto il nord padano questo passaggio è fondamentale e “indisponibile a trattative”.

Sulla data. Ma non sui contenuti. Perché “contro” i programmi leghisti ci sono gli elettorati anche del sud di Fratelli d’Italia e Forza Italia che guida le due regioni più importanti – Sicilia e Calabria – e anche il Molise che andrà al voto in primavera. Fratelli d’Italia punta alla conquista del Lazio con il suo candidato Francesco Rocca. Non si può dare un ceffone al centro-sud per tutelare il nord. Quindi serve il compromesso. A cui hanno lavorato ieri. E nei giorni che restano. Calderoli ha cercato di sminare il terreno incontrando i parlamentari del Sud del partito di via Bellerio. “Modifiche si ma non palude, questo deve essere chiaro” ha ripetuto ieri durante il vertice. Ma Forza Italia, e in coda i Fratelli, punta i piedi: “Prima si rivedono i Lep (livelli essenziali delle prestazioni), il fondo perequativo e la spesa storica, poi si danno poteri differenziati alle regioni. Altrimenti si spacca il Paese”. Meloni invece ha ben altre intenzioni: “Qui o si fa l’Italia o si muore” ha detto pochi giorni fa ad un convegno del suo partito ma parlando agli alleati. E anche ieri al tavolo ha ripetuto più volte: “Guai spaccare il Paese”. E Tajani: “Guai aumentare le disuguaglianze”. Però ha dato anche il via libera a Salvini per issare la sua bandiera identitaria entro il 12 febbraio. La parola chiave ora è compromesso.

E qui entra in gioco l’altra player chiave al tavolo del vertice, l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. La convocazione al vertice del ministro delle Riforme è la prova che Fratelli d’Italia vuole far camminare parallelamente autonomia e presidenzialismo che è invece una riforma costituzionale di peso visto che va a toccare i fondamentali della democrazia e ha tempi lunghissimi rispetto alla riforma, “ordinaria”, delle Autonomie. Casellati è ancora indietro sul modello da mettere sul tavolo: semipresidenzialismo (Lega), modello francese modello americano, premierato (elezione diretta del premier) ed eventualmente, in quale formula? Casellati ha già incontrato la Lega. Ieri i Moderati di Maurizio Lupi. Oggi il Terzo Polo, lunedì i 5 Stelle. Poi toccherà al Pd tutto concentrato sul congresso, al momento senza una posizione unica sul tema, anche lui diviso tra nord e sud. Sembra esclusa, al momento, una Bicamerale. “L’alibi migliore per portarci a spasso” dicono dalla Lega. E, almeno su questo, anche i Fratelli sono d’accordo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.