La netta vittoria elettorale del centro-destra è maturata nel centro-nord dell’Italia. Per portare il suo partito a primeggiare nettamente sulla Lega Meloni ha sfidato Salvini sul suo terreno e l’ha battuto. L’analisi del voto ci consegna pertanto un dato molto problematico. Il Mezzogiorno è rappresentato prioritariamente, e nuovamente, dal Movimento Cinque Stelle, che in questa parte d’Italia ha ottenuto percentuali molto significative e ha fatto man bassa di collegi. Ma i Cinque Stelle sono all’opposizione.

Viene da chiedersi pertanto quale considerazione possa avere il governo Meloni del Mezzogiorno, atteso che qui ci sono le maggiori punte di malessere verso il sistema. Dalla composizione del governo sappiamo che è nettamente rispecchiata la tradizione settentrionale. Dalle novità in tema di denominazione dei ministri arriva un dato ambiguo, con il mutamento di denominazione del “Ministero del Sud e la coesione territoriale” in “Ministero delle Politiche del Mare e per il Sud”. I fondi di coesione territoriale, attribuiti correttamente al ministero per il Sud, ora vengono dislocati altrove. Il Ministero del Sud viene ridefinito come una sorta di appendice di un neonato Ministero del Mare (si noti il maiuscolo ufficiale), tanto che nella denominazione è ad esso posposto.

L’Italia è lambita dal mare anche al centro e al nord. Viene evidentemente introdotto un elemento davvero spurio, comunque saranno definite le deleghe relative al mare. In secondo luogo, il budget di spesa del ministero viene pesantemente ridimensionato, e le competenze spezzettate, dal momento che i fondi di coesione verranno gestiti dal ministro Fitto nel ministero degli “Affari europei, politiche di Coesione e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. I ministeri, entrambi senza portafoglio, che si occuperanno di Sud, pertanto, saranno di fatto due, ma nulla sappiamo delle forme di coordinamento e poco sappiamo su cosa Musumeci dovrà fare senza poter sovraintendere ai fondi di coesione. È certamente positivo che entrambi i ministeri sono guidati da meridionali e da ex presidenti di Regione, il che assicura senz’altro esperienza, operatività, competenza. Sappiamo anche che Musumeci, più nettamente, si è sempre dichiarato a favore di un’autonomia basata su una buona allocazione della spesa ma a partire da una parità di condizioni, con riferimento innanzitutto agli investimenti.

L’autonomia differenziata, che rientra nelle deleghe del ministro Calderoli, deve presupporre il completamento di due grandi cantieri: la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la cui individuazione finalmente con il ministro Carfagna ha fatto progressi importanti e che estesa ad ulteriori campi, e la corretta implementazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza, che presuppone non solo adeguate risorse per il Mezzogiorno ma anche e prima la creazione di un sistema amministrativo in grado di elaborare progetti e portarli a realizzazione.

Calderoli vorrà mettere all’ordine del giorno da subito il regionalismo differenziato ma questo approccio dovrebbe trovare i ministri Fitto e Musumeci nettamente contrari, perchè esso come si configura oggi è davvero una secessione strisciante. L’Italia è nel mezzo di un enorme sforzo di modernizzazione, che è anche di riequilibrio delle sue molteplici fratture e divari, una condizione espressamente posta a base dall’Unione europea.

Il Piano di reclutamento nella pubblica amministrazione in modo che i comuni del Sud siano in grado di partecipare ai bandi PNRR e poi di realizzarli è una vicenda in itinere, e si registrano evidenti ritardi. È questo, oggi, il primo banco di prova delle intenzioni del governo sul Mezzogiorno, a prescindere dagli effetti più specifici su temi come la velocizzazione dei processi o il tema, che bussa alle porte, di una proroga della decontribuzione alle imprese meridionali.