Il centrodestra scricchiolante
I problemi per Giorgia Meloni dopo le nomine di governo, a Palazzo Madama la maggioranza rischia: i numeri ballerini per i 9 senatori-ministri
Una ‘vecchia volpe’ del Partito Democratico a La Stampa dietro anonimato e si lascia andare a previsioni fosche, parlando forse con fin troppo ottimismo di “governo nato morto”.
Eppure la ‘previsione’ del parlamentare Dem risuona già da ore in Parlamento, dove si fa i conti col pallottoliere per capire su quali basi poggia la maggioranza di centrodestra, in particolare al Senato.
Tutta ‘colpa’ delle scelte fatte da Giorgia Meloni e dagli alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sui nomi per i ministeri. Sono infatti ben nove i senatori che passeranno dalla poltrona di Palazzo Madama a quella del loro dicastero di riferimento: per Fratelli d’Italia Ciriani, Urso, Santanchè e Musumeci, per la Lega Salvini e Calderoli, per Forza Italia Casellati, Bernini e Zangrillo, più Ignazio La Russa che da presidente del Senato e per il suo ruolo super partes non partecipa alle votazioni.
Scelte che, giocoforza, avranno ripercussioni sui numeri non eccezionali del centrodestra al Senato. Qui la maggioranza può contare su 116 voti, ma a questo numero si potrebbe sottrarre pericolosamente quello dei 9 senatori-ministri e del presidente.
I ministri potranno votare quando ce ne sarà bisogno, ma è chiaro che il centrodestra non potrà contare in maniera stabile sulla loro presenza in Aula e dunque sul loro voto. È noto infatti che i titolari dei vari dicasteri, salvo per votazioni importanti, risultano spesso assenti giustificati, ovvero in ‘missione’ e quindi non partecipano a tutte le sedute dell’Aula.
In questo modo il margine di vantaggio sulle opposizioni si assottiglia: la maggioranza dopo il taglio dei parlamentari è fissata a quota 101, quella assoluta a 104, e il centrodestra in caso di non-voto di tutti i ministri-senatori non andrebbe oltre i 106.
La speranza resta ancorata alla ‘forchetta’ con l’opposizione, che resta ampia: sono 29 i voti di scarto, che si riducono a venti non contando i 9 ministri.
Differente il quadro alla Camera, dove Meloni e soci possono contare su una maggioranza più solida di 235 deputati, ma soprattutto dove i deputati-ministri sono ‘solo’ sette.
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