Disastro inglese. Il prezzo della sciagurata scelta di rompere con l’Europa scegliendo la Brexit sta diventando sempre più alto. Non è servita neanche l’or gia di retorica che ha accompagnato la morte della regina per coprire il patatrac. Ieri Liz Truss, che ci era stata presentata come la nuova Thatcher – cioè la leader che avrebbe guidato prima la Gran Bretagna e poi l’Occidente in una nuova era liberista, felice, fondata sull’aumento della ricchezza dei ricchi come antidoto alla crisi – ha concluso la sua corsa velocissima e dopo aver governato per sei settimane si è dimessa.

Ha detto al nuovo Re – probabilmente sbigottito – di essersi resa conto che non ci sono le condizioni per realizzare la sua politica. Quale politica? Lei aveva solo cercato di mettere in atto una parte del programma elettorale – per capirci – del centrodestra italiano. E cioè abbassare le tasse alle fasce più ricche della popolazione. Era convinta che questa misura sarebbe stata una frustata benefica sul cavallo dell’economia, che in questo modo avrebbe liberato finalmente la sua forza e la sua corsa. La frustata invece ha ucciso il cavallo. I mercati sono insorti furiosi per il pressappochismo della signora Truss, e tutti, persino i giornali trussianissimi, hanno ammesso che doveva essere uno sbaglio: no, Liz non è la Thatcher. Del resto neanche il suo predecessore, Boris Johnson, era la Thatcher. Ne ha indovinate poche.

È andato lì a prendere la guida del vecchio impero convinto come al solito che la Brexit avrebbe isolato il mondo, e dopo non molto tempo tutti si sono accorti che la Brexit isolava l’Inghilterra. E la metteva ai margini nella scena internazionale. Johnson ha provato a recuperare ruolo e popolarità mettendosi alla testa dei guerristi occidentali, decisi a spezzare le reni a Putin. Lui non si credeva la Thatcher: era convinto di essere Churchill. Non lo era. E tutti e due – Boris e Liz – nel giro di meno di due mesi sono finiti come i famosi pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati. Vogliamo dirlo, o no, che la destra inglese ha dato una immagine sconvolgente di se stessa? Pasticciona e incapace.

Ora – scusate la spericolatezza del ragionamento – il dubbio è che Liz non fosse Margareth ma fosse invece Giorgia. Cioè – ultramaliziosamente – che Giorgia sia Liz. Capite che le somiglianze sono molte. Una donna decisa, senza mediazioni, fortissimamente di destra, forse la leader politica più a destra nella ribalta europea, convinta di poter realizzare una politica fortemente e strutturalmente di destra e certa che il mercato e non lo Stato deve essere il padrone della politica. Il mercato ha dato retta alla Truss e le ha detto: se io sono il padrone tu vai a casa. Qual è il problema? Che nella fase di crisi che sta vivendo il mondo e che sta travolgendo l’Occidente, il liberismo non funziona più. Voi dite: ma perché, prima funzionava? Non saprei, so che ha accompagnato spavaldo gli sviluppi politici dell’Occidente dal giorno dopo la caduta del muro di Berlino fono al Covid.

Inaridendo la sinistra, spianando il suo egualitarismo e la sua politica di classe, fagocitandola in un progetto di globalizzazione e di sviluppo che aveva al suo centro il mercato e il capitalismo così com’è – perfetto dunque irriformabile – e, parallelamente, dando grande spazio alla destra e aprendo un varco di ribellione e di protesta che – una volta persa la forza e il pensiero della sinistra – ha finito con alimentare robusti movimenti populisti e qualunquisti, con il Dna reazionario e l’eskimo di sinistra. Poi possiamo ragionare finché volete sui danni o le virtù che ha prodotto il trentennio liberista. E accapigliarci tra chi pensa che ha spinto lo sviluppo e la civiltà e chi pensa che invece li ha frenati. Però ha funzionato.

Bene, ora la spinta dell’89 è esaurita. Il vento di destra può prevalere alle elezioni, per svariati motivi contingenti o per errori della sinistra, ma non può diventare il propulsore di una nuova politica liberista. Non troverete più da nessuna parte, né tra gli economisti né tra i politici, chi vi ripeterà il vecchio slogan “Meno stato e più mercato”. Avete seguito il dibattito di questi mesi, non solo in Italia? Scostamento di bilancio, finanziamenti, sussidi, sostegno al commercio, finanziamento pubblico per le aziende energivore… Il mercato è andato a cuccia, aspetta tempi migliori. Non è una grande novità.

La storia va così. Se le cose funzionano, se c’è ricchezza, non serve lo Stato e dunque non serve neanche la politica. La mano invisibile, quella che teorizzò Adam Smith, guida lei la società. (la mano invisibile sarebbe il Capitale). Se le cose si complicano, sè il mercato sperpera, se trascina l’economia alla crisi, se finisce impelagato nella guerra… allora si chiede allo Stato di intervenire. In teoria sarebbe anche il momento della sinistra, cioè dei socialisti. Ma stavolta la sinistra e i socialisti si sono fatti trovare addormentati, e hanno preso una bastonata proprio nel momento nel quale toccava a loro darla.

E quindi governerà Giorgia Meloni. La quale può commettere un errore formidabile oppure non commetterlo. L’errore sarebbe quello di dare seguito al programma elettorale della destra. Meno tasse, più guerra. Il non errore sarebbe la scelta opposta: buttare a mare il programma della destra e governare con un programma di sinistra. Cioè evitare di diventare una Truss italiana. Non fece così anche Prodi? Governò alla guida di uno schieramento di sinistra realizzando la politica più liberista che mai governo italiano abbia realizzato.
Dai Giorgia, dimentica la Truss e prova a fare Prodi alla rovescia.

Avatar photo

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.