Quello del governo Meloni è un percorso minato. Anche nei primi cento giorni. In attesa che il premier pronunci stamani alla Camera il discorso per la fiducia (ore 11), ultimo atto di insediamento del governo, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ieri ha assunto le seguenti iniziative: ore 9.21, primo post su Facebook: «Al lavoro per far ripartire i cantieri da nord e sud», segue elenco di progetti e danari (tutti del Pnrr); ore 11.40, inizia l’incontro del ministro delle Infrastrutture con il comandante della Guardia, costiera Ammiraglio Nicola Carlone.

«È stato un lungo e proficuo incontro – dice Salviniper fare il punto della situazione anche a proposito di immigrazione: in questo momento in acque Sar libiche ci sono due imbarcazioni ong». Non una parola sui morti raccattati in queste ore nelle acque del Canale di Sicilia. Ore 15.53: consumato un pasto frugale, il vicepremier e segretario della Lega ha convocato un vertice economico con il ministro Giorgetti e gli esperti Bitonci, Durigon, Borghi, Freni. Tra i temi trattati: Superamento della Fornero; estensione della flat tax, interventi strutturali sulle cartelle della flat tax, revisione del reddito di cittadinanza. Poi è andato in tv e ha spiegato il tutto a Porta a Porta.

E meno male che il premier, nel primo Cdm ha chiesto «unità, lealtà, compattezza e di guardare più alle percentuali del Pil che a quelle dei sondaggi». Salvini invece ha in testa solo i sondaggi: il suo obiettivo è arrivare alle regionali della primavera 2023 avendo recuperato consenso e logorato il premier che sembra intenzionata ad essere molto più pragmatica e realista rispetto alle promesse e alla propaganda della campagna elettorale. L’attivismo di Salvini e l’altolà del vicepresidente della Camera, l’azzurro Giorgio Mulè («Meloni ci ha delusi, Tajani ora si dimetta dalle cariche del partito») sono tutti indizi che provano come i primi cento giorni del governo Meloni saranno pieni di mine pronte a logorare la maggioranza. A mandarla sotto alla prima votazione utile. Al Senato ci sono solo 5 voti di scarto. E 9 senatori del centrodestra sono ministri. A fine settimana sarà completata la squadra con i sottosegretari e si vedrà plasticamente che il governo ha una maggioranza debole nei numeri. E, quel che è peggio, nelle priorità e nelle ricette per dare soluzioni. Ecco alcuni dossier destinati a creare problemi.

Caro bollette: scostamento bilancio sì o no?
È la prima mina pronta ad esplodere. Il ministro per la Transizione ecologica Pichetto Fratin e il predecessore, ora consulente, Cingolani già oggi si dovranno dividere tra Roma e Bruxelles dove i ministri dell’Energia dei 27 devono dare seguito all’accordo politico raggiunto con il pressing di Draghi al Consiglio europeo di giovedì scorso. Una volte rese esecutive le misure, si potrà dire che “i meccanismi speculativi” sono stati bloccati. E che quindi, questo sarà il Salvini-pensiero, possiamo fare debito e mettere subito soldi nelle tasche di famiglie ed imprese. Meloni non vuole fare debito. A maggior ragione perché tra le misure del Consiglio Ue c’è proprio la nascita di un fondo speciale per aiutare i singoli a fronteggiare l’emergenza – sia di materia prima che di costi – del gas e dell’elettricità. E poi perché il costo del gas è stato già ridotto di un terzo. Giorgetti la pensa come Meloni. Che poi era il pensiero guida di Mario Draghi. Si prevedono scintille.

Pensioni, flat tax, taglio del cuneo fiscale
Per tutta la campagna elettorale Meloni è stata attenta a non fare promesse troppo mirabolanti “che poi non saremo in grado di rispettare”. Però ha promesso. Intorno a lei Salvini e Berlusconi hanno fatto anche di più. Il debutto operativo della melonomics è un doppio appuntamento: il decreto legge anticrisi (che poggerà sui 10 miliardi lasciati da Draghi grazie all’extra gettito fiscale) e la legge di bilancio che dovrà trovare il modo di sostenere l’economia senza fermare il processo di abbattimento del debito. Flat tax, pensioni, revisione del reddito di cittadinanza, taglio del cuneo sono tutte voci che andranno in legge di bilancio.

La proposta sul taglio delle tasse per i lavoratori e l’incremento del netto in busta paga è scritto nel programma del centrodestra: taglio del cuneo di 5 punti, due terzi lato lavoratore e e un terzo lato impresa (Draghi lo ha tagliato del 2% fino a 35mila di reddito); un intervento che premia le aziende che più assumono secondo il principio “chi più assume meno paga” (Fazzolari). Se ci saranno risorse, questa è la priorità per Meloni. Ma Salvini non molla su flat tax e pensioni. Sulla tassa piatta, la proposta Lega (23%) e Forza Italia (15%) hanno costi impensabili. Se ci sono risorse, dopo il taglio del cuneo, la proposta di Meloni sarà di applicare una tassa piatta del 15 % ma solo sulla parte incrementale del reddito rispetto all’anno precedente. Poche, anzi, zero speranze per le pensioni. Un correttivo dovrà però essere trovato perché a fine anno scade anche Quota 102.

Ora, Meloni sa bene che nel vocabolario della sostenibilità del debito la parola più delicata è proprio pensioni. E che nessuna delle proposte di Salvini è praticabile. Cosa succederà? Tutti hanno davanti lo scenario Liz Truss, al premier britannica che si è dimessa perché la sterlina è crollata dopo che lei aveva proposto di finanziare in deficit la riduzione del caro bollette e delle tasse. Non si scherza con la sostenibilità del debito. Anche se si è fuori dalla Ue.

Appuntamento con la Bolkestein
La scadenze del Pnrr hanno occupato buona parte dei 70 minuti di colloquio Draghi-Meloni e Garofoli-Mantovano. Il punto è questo: il disegno di legge sulla Concorrenza è uno degli obiettivi di questo semestre del Pnrr. Sono 51, ne restano da raggiungere una ventina e da questo dipende la tranche di 21 miliardi. Il problema è che nella Concorrenza c’è l’applicazione della Bolkestein. Cosa deciderà di fare Meloni? Al Turismo ha voluto mettere Daniela Santanchè, proprietaria di stabilimenti balneari e contraria alla Bolkestein. Il rischio di perdere la rata del Pnrr è alto. Forse è il punto su cui i tre leader sono più d’accordo: va cancellata. Cosa dirà Bruxelles?

Decreto Ucraina, rinnovato o no?
A fine anno scade il decreto Ucraina che dai primi di marzo ha consentito ben sei volte l’invio di armi in ambito Nato a Kiev. Fratelli d’Italia sembra blindata sul tema europeismo e atlantismo e dunque andrà in continuità con Draghi. Lega e Forza Italia, al di là delle intemerate di Berlusconi, sappiamo cosa pensano su invio di armi e applicazione delle sanzioni. Dubbi, distinguo, frenate. Tajani e Crosetto blinderanno il provvedimento. Cosa succederà in aula, è tutto da vedere.

Obbligo vaccino per medici e infermieri
Il ministro della Salute Orazio Schillaci è un convinto sostenitore del green pass. No vax e no pass chiedono però al governo di togliere l’obbligo di vaccino (della quarta dose) per medici e personale sanitario. La rete che ha votato a destra mormora: cosa aspettano a togliere l’obbligo? Non lo toglieranno. Non questo ministro.

Immigrazione
Gira voce che Salvini abbia intenzione di tornare all’attacco con i decreti Sicurezza che vietano gli sbarchi alle ong. Non fa mistero, il ministro delle Infrastrutture che comunque è uno dei tre firmatari dell’eventuale provvedimento grazie alla titolarità sulla Guardia costiera, di aver scritto quei decreti “insieme con Piantedosi”. Allora era capo di gabinetto. Adesso è ministro dell’Interno, tecnico in quota Lega. Dalla fretta con cui ieri Salvini ha voluto incontrare l’ammiraglio che guida la Guardia Costiera, l’intenzione è di procedere in fretta e spediti.

Giorgia Meloni è ben consapevole di tutto questo e oggi nel discorso per la fiducia dovrà dare le prime risposte. Sarà, filtra da palazzo Chigi dove ha passato tutto il giorno a limare il discorso, “un manifesto programmatico che ambisce ad essere la base di lavoro di un’intera legislatura, a conferma della natura fortemente politica del Governo e con l’obiettivo di dare seguito concreto e attuazione agli impegni assunti con i cittadini italiani in campagna elettorale”. Aspettare e vedere.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.