I benzinai forse li hanno convinti. Gli italiani che dovranno spendere, nella migliore delle ipotesi almeno 9 euro in più ogni pieno di carburante, è da vedere. L’obiettivo del governo intanto era di scongiurare lo sciopero dei 22 mila gestori delle pompe di benzina proclamato per il 25 e il 26 gennaio dalle quattro sigle Faib, Fegica, Figisc e Anisa. Pare ce l’abbiano fatta, con tante scuse del tipo “c’è stato una cortocircuito mediatico, mai vi abbiamo accusato di speculare” e l’invito a leggere nel dettaglio il testo del decreto Trasparenza, quello ancora non pubblicato (questioni di ore), approvato nel Cdm di martedì all’improvviso e su richiesta della Lega (leggi Salvini) perchè voleva “un segnale politico ai cittadini”e ulteriormente modificato nel Cdm di giovedì sera.

Insomma, un testo nato con le idee chiarissime e che a sua volta ha ingenerato tensioni. Quel poco che era stato definito nel decreto però, in nome della Trasparenza e contro la speculazione, è già stato cambiato: non più cartelli per informare gli utenti del prezzo reale e di quello praticato (basterà che sia indicato sul web) e drastica rivisitazione anche delle eventuali sanzioni in caso di irregolarità. Praticamente i gestori hanno vinto su tutto. In più hanno avuto rassicurazioni su altri due aspetti: maggiori controlli “a monte dei distributori”; possibilità di restituire al prezzo finale del carburante i maggiori incassi Iva dello Stato. In tutto ciò una cosa è certa: il governo non ha alcuna intenzione di tornare agli sconti sulle accise, misura introdotta da Draghi a marzo 2022 quando i prezzi volarono fissi sopra i due euro e non più rinnovata dal governo Meloni dal primo gennaio 2023. Ora lo sconto non c’è più e la benzina in città costa anche 2 euro al litro mentre in autostrada sfiora i 2,5 euro. La media dovrebbe essere 1.80 al litro. Ma i costi sono più alti. E sarà difficile gestire la differenza tra il prezzo sulla carta e quello reale.

Difficile per gli automobilisti: il peso delle accise sulla formazione del costo dei carburanti è iniqua: la componente fiscale è pari al 58%; il prezzo industriale è pari al 42%. La questione è antica. Non è certo colpa di questo governo. Le accise rappresentano un’entrata strutturale per il bilancio dello Stato pari a circa 40 miliardi. Servirebbe un’altra entrata di pari peso. Alcuni economisti credono che sia stato giusto azzerare gli sconti. Altri invece sono convinti che in un contesto con l’inflazione così alta, la misura vada a pesare soprattutto sui più poveri, su chi è pendolare ed è costretto a prendere l’auto per andare a lavorare. Il sottosegretario Montavano e i ministri Urso e Giorgetti hanno ricevuto sindacati alle 11.30 ieri mattina. Poi di un’ora di confronto. “Abbiamo apprezzato il chiarimento avuto con Governo che ripristina una verità inequivocabile: i gestori non hanno alcuna responsabilità per l’aumento dei prezzi o per le eventuali speculazioni” hanno spiegato Faib, Fegica e Figisc/Anisa. I sindacati hanno sfruttato l’occasione per mettere sul tavolo il tema della “piena legalità della rete”.

“Finalmente s’è capito ha detto che un conto sono i gestori che non comunicano e un altro sono i casi di comunicazione ritardata: noi da anni diciamo che una serie punti vendita lavorano in violazione delle regole, la Guardia di finanza deve andare là”, ha aggiunto Alessandro Zavalloni di Fegica. “Serve una riforma profonda del settore, perché ci sono 13 miliardi di Iva e accise elusi e un sistema regolatorio che si è allentato”. Ci sarà un nuovo incontro il 17. Intanto fonti di governo fanno sapere che le accise non si toccano più, in nessun senso. Non sarà cioè previsto un nuovo meccanismo automatico di intervento sulle accise qualora il prezzo dei carburanti nelle stazioni di servizio tornasse a salire in maniera repentina. In presenza di un aumento eventuale del prezzo del greggio, e quindi del relativo incremento dell’Iva in un quadrimestre di riferimento, il maggiore introito incassato in termini di imposta dallo Stato potrebbe essere utilizzato per finanziare riduzioni del prezzo finale alla pompa.

Insomma, se lo sciopero è congelato è chiaro però che la luna di miele del governo Meloni con il popolo italiano è entrata in crisi. La benzina resta alta e il settore dell’autotrasporto è in subbuglio. Basta poco perchè aumentino ancora i prezzi ridando fiato all’inflazione che ha rallentato per la prima volta nel mese di dicembre. Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte ha ricordato che “la protesta dei gilet gialli in Francia è iniziata proprio per l’aumento della benzina”. Scongiuri e corni anti iella. La premier Meloni ha capito che alla base di una legittima scelta politica (azzerare gli sconti sulle accise e destinare qui 10 miliardi in un anno, 2,5 in tre mesi ad altri interventi per famiglie e poveri) c’è stata però una comunicazione sbagliata, piena di errori, gaffe e contraddizioni della maggioranza nel suo complesso. È stata la Lega a gridare contro gli speculatori alle pompe di benzina. Ed è stata Forza Italia a chiedere fin da subito la retromarcia. Per evitare che si ripetano pasticci del genere, Giorgia Meloni ha deciso di chiudersi con i suoi in conclave per dare una stretta ai bulloni della macchina Fdi. Per poi passare ai bulloni della maggioranza. Perché altri problemi sono all’orizzonte. Nelle prossime ore come il nodo balneari. Intanto lunedì la premier riunirà capigruppo, vertici e ministri di Fratelli d’Italia.

L’intenzione è creare una sorta di cinghia di trasmissione in modo che il lavoro di governo e Parlamento possa procedere senza alcun intoppo. L’occasione è anche quella di fare il punto sul cronoprogramma e sui provvedimenti da portare avanti. Nelle prossime settimane c’è tanta carne al fuoco. Ed è vietato sbagliare. Il decreto Ischia alla Camera, l’elezione dei dieci membri laici del Csm (Fdi vuole la vicepresidenza di Palazzo dei Marescialli, Berlusconi non è d’accordo), il dossier riforme, quella costituzionale e quella sull’autonomia che Meloni vuole viaggino insieme. Al Senato, invece, è atteso il via libera al Milleproroghe. Con un problemino: Forza Italia chiede la proroga per le gare degli stabilimenti balneari, il Consiglio di Stato l’ha vietata, Meloni ha fatto campagna elettorale dicendo che avrebbe fatto saltare le gare. Il problema è che i balneari sono un pezzo importante del ddl Concorrenza che è un milestone del Pnrr. Il governo si mette contro Bruxelles per stare dietro agli stabilimenti balneari? Senza parlare del Mes. Qui la comunicazione dovrà essere molto attenta: il governo dovrà firmare, ratificare, che non vuol dire chiedere il prestito. Ma come sarà spiegata la differenza agli elettori?

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.